Doppio cartellino giallo alla Russia sui diritti umani
Diritto e libertà
All’indomani dei fastosi Mondiali di calcio, la Russia è stata raggiunta da una raffica di cartellini gialli della Corte europea dei diritti dell’uomo. Qui ci soffermiamo sulle due decisioni del 17 luglio nei più celebri casi della carcerazione delle Pussy Riot e del misterioso assassinio della giornalista Anna Politkovskaya.
Una ‘preghiera punk’ da 48.760 euro.
‘Vergine Maria, liberaci da Putin!’ (‘Virgin Mary, Drive Putin Away’). Questo il titolo della ‘Punk Prayer’, la preghiera punk che le Pussy Riot stavano interpretando nella cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca il 21 febbraio del 2012, con tanto di coreografia e costumi ritenuti osceni dalle autorità russe. Arrestate, sottoposte a – per così dire – regolare processo per condotta teppista ed estremista, e condannate a due anni di reclusione. Da notare che la chiesa era praticamente vuota, all’eccezione dei giornalisti invitati dallo stesso gruppo. Inoltre, il breve video di un minuto della performance (subito interrotta dalla security della chiesa) girato e diffuso in internet dalle Pussy Riot, era stato censurato senza che le autrici potessero presentare formale opposizione.
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto che la censura del video non rispondesse a un “bisogno sociale impellente” e non fosse “necessaria in una società democratica”. Più a monte i giudici di Strasburgo hanno messo in dubbio che la condanna alla pena detentiva fosse proporzionata al reato, soprattutto perché il tribunale russo non aveva giudicato ‘estremista’ il comportamento del gruppo punk. E hanno stigmatizzato anche la condanna alla reclusione come una pena “non necessaria in una società democratica”.
La Corte ha poi riscontrato diverse violazioni che vanno dalla limitazione della libertà personale e di espressione, al diritto a un giusto ed equo processo, visto che il ricorso all’assistenza di un difensore era stato ostacolato per oltre un mese senza motivo. Su quest’ultimo punto i giudici hanno ricordato che la comunicazione con il proprio avvocato lontano da terzi “figura tra le esigenze elementari dell’equo processo in una società democratica”. Non democratico. Non democratico. Non democratico. Un giudizio ripetuto tre volte, che va oltre l’accertamento legale e suona come un rimprovero politico.
La Corte ha, inoltre, ritenuto che le manifestanti fossero state sottoposte a trattamenti disumani e degradanti nel corso del processo: trasporto su veicoli penitenziari sovraccarichi e asfissianti, detenzione durante l’udienza in un box di vetro in aula sorvegliato da guardie e cani, impossibilità di parlare con il proprio avvocato difensore se non attraverso una finestrella di quel box situata a un metro da terra.
Per tutte queste ragioni, la Russia è stata condannata al risarcimento dei danni morali per complessivi 37.000 euro, oltre alla refusione delle spese processuali, liquidate in 11.760 euro.
Noir nel giorno del compleanno di Putin.
Ma è l’altra la decisione cparticolarmente onerosa per la Russia, e non parliamo certo dei 20.000 euro di risarcimento dei danni morali ai familiari della vittima. Nel giorno del compleanno di Putin del 2006, la giornalista d’inchiesta Anna Politkovskaya – che indagava su presunte violazioni di diritti umani in Cecenia e si era più volte espressa contro il presidente russo – fu assassinata nell’ascensore della sua abitazione di Mosca.
Gli esecutori materiali (tra cui un poliziotto e un agente dei servizi segreti russi) e uno degli organizzatori (un dirigente del ministero degli interni d’istanza a Mosca) erano stati individuati e condannati, ma sui mandanti non è mai stata fatta luce, nonostante siano trascorsi dodici anni. Gli investigatori avevano montato una teoria che conduceva a un uomo d’affari russo residente a Londra, poi deceduto nel 2013.
La sentenza suggerisce che gli investigatori russi deliberatamente evitarono di percorrere altre piste, e in particolare quella più facilmente riconducibile all’oggetto delle inchieste della Politkovskaya, e cioè che i mandatari dell’assassinio fossero i servizi segreti russi o le autorità cecene. La Corte di Strasburgo, inoltre, ha osservato che la Russia non ha saputo fornire nessuna spiegazione convincente per delle indagini così lunghe. Da notare che la decisione è stata adottata a maggioranza, con il voto contrario dei giudici russo e slovacco.
La Russia detiene il record di procedimenti conclusi dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo nel 2017: 305 di cui ben 293 con una condanna, staccando di misura la seconda in classifica (Turchia, 116 e 99). Ha all’attivo circa 9200 ricorsi pendenti, di cui oltre 1450 introdotti nella prima parte di quest’anno. Tra di essi figura anche il caso – attualmente all’attenzione della stampa - del regista Oleg Sentsov, condannato a 20 anni di reclusione che sta attualmente scontando in una colonia penale in Siberia con l’accusa di atti terroristici commessi in Crimea. Sentsov ha presentato ricorso alla Corte di Strasburgo nel 2014 per torture e violazione della libertà e della sicurezza.