zuckerberg

Mentre i media e la stampa internazionali sono giustamente allarmati su una vicenda dai contorni ancora largamente poco chiari (e pertanto preferisco evitare di entrare nei dettagli), sembra che, nel mondo del giornalismo italiano, perlomeno quello che piace alla gente che piace, e in quella sfera di commentatori online che una volta venivano chiamati blogosfera, la parola d’ordine sia 'minimizzare'.

La questione, come dicevo, ha ancora contorni poco chiari, ma una cosa è certa: esistono oggi tecnologie che permettono di portare messaggi pubblicitari personalizzati (individualizzati sarebbe piú corretto), al momento giusto, e le medesime tecnologie permettono di avere dei feedback in tempo reale della loro efficacia. Esistono tecnologie che permettono di correlare questi dati con una quantità di altri dati che possono essere raccolti strada facendo o che sono già stati raccoli. E queste tecnologie permettono di vendere meglio beni di uso comune, di suggerirci la visione di video su Youtube che ci sono con maggiore probabilità affini, ma allo stesso tempo, le medesime tecnologie – un po’ come tante tecnologie dual use civile e militare e come tali regolamentate – possono servire per influenzare le nostre opinioni non circa quale prodotto acquistare, ma quale orientamento politico assumere su un determiinato argomento (background qui, qui, qui, tanto per fare alcuni esempi, e qui abbiamo una raccolta di articoli accademici di uno dei massimi esperti dell’argomento).

Non deve sembrare peregrina l’idea che le forme della comunicazione pubblica influenzino profondamente l’organizzazione politica. La democrazia ateniese ha avuto il suo punto centrale in una struttura architettonica (l’Agorà). L’invenzione di Gutenberg dei caratteri mobili e la nascita della stampa ha avuto un ruolo fondamentale per la Riforma e il Rinascimento. Cosí non può che essere un segno di superficiale disattenzione, nel migliore dei casi, o un tentativo di nascondere delle tendenze storiche profonde, nel peggiore, il negare che lo sviluppo delle comunicazioni elettroniche e dei social network abbiano un’influenza nel condizionare le strutture politiche del nostro tempo. Semmai, nel passato abbiamo peccato di ottimismo. Dovrebbe essere abbastanza per convincerci che perlomeno c’è un problema di cui occuparci.

Di poca sostanza sembra essere l’affermazione secondo la quale la campagna di Cambridge Analytica avrebbe avuto uno scarso peso nel portare Trump alla Casa Bianca. Intanto Trump c’è, infatti, le elezioni le ha vinte, e pure per un margine esiguo di voti in qualche stato chiave. Se metto una pentola d’acqua sopra il gas acceso e l’acqua dopo un po’ di tempo bolle, perlomeno mi viene il dubbio che bolla perché ci ho acceso il fuoco sotto; magari ci possono essere altre cause, ma non scarto l’ipotesi con sufficienza.

Piuttosto, la combinazione del microtargeting fatto da Cambridge Analytica e delle interferenze di cui si sta occupando Robert Mueller può aver costituito un fattore determinante. Le rivelazioni pubblicate da The Daily Beast qualche giorno fa sembrano indicare questa direzione, cosí come il fatto che l’hacker Guccifer 2.0, che ha fornito a Wikileaks le email trafugate dei dipendenti del Democratic National Commitee, era un agente del GRU russo.

Circa il ruolo di Facebook in tutta la faccenda, la situazione è tutt’ora sufficientemente confusa per non poter dire nulla di preciso. Consigliamo però la lettura di questo primer legale, pubblicato da Lawfare, un autorevole sito collegato con la Brookings Institution, in cui svariate leggi americane vengono chiamate in causa, e che soprattutto contiene la frase «I am leaving aside for now the potential claims under British and European law, but those add to this list considerably»: leggi inglesi ed europee allungherebbero la lista delle possibili violazioni considerevolmente.

C’è un’altra questione che in genere viene affrontata con una superficialità estrema. La questione che può essere riassunta brevemente con la frase "se non si paga, il prodotto sei tu". Detta con quel tono condiscendente, di uno che la sa lunga, che ha capito tutto della vita. Come sempre, è una di quelle frasi facili, che si impara a memoria e si ripete a pappagallo senza valutarne le conseguenze e le articolazioni (le cose raramente sono semplici).

Buona parte del software Open Source, ad esempio, è gratis, eppure noi non siamo “il prodotto” quando usiamo Linux. Il prodotto continua ad essere Linux, e i soldi prendono un giro diverso. Ma prendiamo pure il caso dei social network, come anche dei siti che offrono dei servizi (ad esempio di informazione) gratis, quindi pagati dalla pubblicità. Chiaramente gli utenti sono un “prodotto” (eyeballs) per i “clienti” (gli inserzionisti che pagano). Ma c’è modo e modo di essere prodotto.

In questo caso, infatti, può innescarsi un circolo virtuoso: l’utente non paga, l’advertiser paga, ed i vantaggi sono (1) il gestore della piattaforma campa e dà lavoro ai suoi dipendenti (2) l’utente ha un servizio gratis (3) l’advertiser ha un target per la sua pubblicità molto piú interessante del target indifferenziato dei media classici (4) l’utente è sottoposto alla pubblicità di cose che forse gli interessano.

Infatti, a me non interessa minimamente che mi si sottoponga alla visione di pubblicità di intimo da donna, di libri di ricette vegane, e cosí via. Se mi pubblicizzi, ad esempio, uno small form factor computer ad un prezzo interessante potrei cliccare e vedere di cosa si tratta, perché mi interessa (so di dire banalità per chiunque si occupi professionalmente di pubblicità). Quindi essere il prodotto può essere una buona cosa. Perché in realtà non è vero: non è una semplice transazione in cui un prodotto viene scambiato. È un processo piú complesso, non si tratta solo di due attori che si scambiano un oggetto per denaro. La frase fatta sopra citata dal guru digitale di turno è fuorviante.

I problemi nascono quando di questo meccanismo si abusa. I problemi nascono quando le medesime tecnologie che permettono di realizzare il circolo virtuoso di cui sopra vengono utilizzati per diffondere falsità, condizionare l’opinione pubblica ed ingegnerizzare il consenso. Il problema nasce quando questo tipo di tecnologie vengono utilizzate per potenziare quelle che vengono chiamate Active Measures. Il problema sta anche nel fatto che nessuno (né gli utenti, che si godono i vantaggi di cui ai punti (2) e (4) sopra, né gli advertiser, che si godono il vantaggio (3), né i gestori delle piattaforme ai quali giova il punto (1) vogliono cambiare modello. Perché, diciamolo, Facebook a pagamento non funzionerebbe mai.

Va da sé che non è un problema di facile soluzione, ma temo che non esistano soluzione tecniche di tali problemi. La soluzione non potrà che essere di tipo normativo.