Merkel Erdogan

Il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan è un massacratore del più fondamentale requisito dei regimi democratici, la libertà di espressione, sul rispetto della quale l’Europa non può transigere.

L’espressione si manifesta in forme diverse: il giornalismo, l’arte, la narrativa, la satira. La satira offende. Può essere elegante, raffinata o al contrario triviale e superficiale, ma non può essere clemente. La satira deve colpire, ferire e possibilmente annientare. La satira può essere estrema eppure restare satira. Satira è Charlie Hebdo, appunto.

Pochi leader politici hanno senso dell’umorismo. Tutti i leader politici ne sono però bersaglio. Solo i leader politici democratici sono in grado di tollerarlo. Il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan non è tra questi. Lo è ancor meno il Presidente russo Vladimir Putin. Erdogan e Putin non si limitano a non tollerare la satira: trovano che l’informazione libera sia un nemico e non si fanno scrupolo di abbatterlo. Turchia e Russia appartengono alla categoria delle “democrature”, infatti, non a quella delle democrazie.

Con il presidente turco Erdogan l’Europa ha un rapporto conflittuale, come d’altronde ce l’ha con il Presidente russo Putin, il Presidente egiziano Al Sisi o il leader iraniano Rouhani. L’Europa istituzionale, l’Europa economica, tuttavia, con quei paesi e con quei leader tratta. Si incontra su interessi comuni, si allea contro nemici comuni. Cede, negozia male, subisce e non sempre è capace di restare Europa.

I capi di Stato e di Governo che compongono il Consiglio europeo, con la Turchia del non-democratico Erdogan, hanno sottoscritto un accordo, entrato in vigore il 20 marzo scorso, che prevede la "restituzione" dalla Grecia alla Turchia dei migranti entrati illegalmente in territorio europeo. L’Europa ricava il (fantomatico) beneficio di arginare il flusso di disperati da Afghanistan, Pakistan, Siria verso le pacifiche capitali europee. La Turchia guadagna 3 miliardi di Euro e la facoltà per i suoi cittadini di muoversi in Europa senza più il visto.

L’accordo è dubbio sotto il profilo dell’efficacia - per una rotta che si chiude dalla Grecia se ne apre un’altra di accesso dall’Italia - e dubbio sotto il profilo giuridico - la Turchia nega lo status di rifugiato agli afgani che fuggono dagli orrori talebani. Si può appaltare alla non-democrazia autoritaria, liberticida, repressiva dei diritti umani di Erdogan la gestione di una questione umanitaria non episodica ma epocale la cui soluzione è eminentemente globale?

Un pessimo accordo, dunque, ma l’unico che l’Europa è stata in grado di concordare. L’unico accordo che i leader europei riuniti in Consiglio si sono risolti a offrire alle opinioni pubbliche nazionali impaurite, confuse, frustrate dalla incapacità delle loro élite di proteggerle, confortarle e dare loro ragione del conflitto tra umanità e possibilità.

In questo quadro irrompe il caso Merkel-Erdogan. È il 31 marzo quando Jan Boehmermann, popolare comico tedesco, recita alla tv pubblica ZDF una poesia dedicata al Presidente turco. Un atto di satira volutamente estremo: riservare al Capo di Stato turco il trattamento che solo in una democrazia i Capi di Stato sono attrezzati a reggere. Gli dà dello zoofilo, puzzolente sodomita di capre. I versi del poeta cantano un Erdogan omosessuale pidocchioso senza palle e sessualmente poco dotato che guarda film pedo-pornografici mentre picchia ragazzine con indosso una maschera di gomma.

Erdogan si rivolge alla giustizia tedesca intentando una causa per diffamazione. Ma l'articolo 103 del Codice Penale, rimasto intonso dall’era prussiana, prevede che se ad essere diffamato è un Capo di Stato straniero, questi possa chiedere al Governo di autorizzare un procedimento penale per lesa maestà. I precedenti nella storia recente richiamano una manciata di episodi: lo shah di Persia Reza Pahlavi e il dittatore cileno Augusto Pinochet. Erdogan segue anche questa via. Merkel concede l’autorizzazione del Governo. In virtù di quell’anacronistico codicillo, Boehmermann sarà giudicato da un tribunale tedesco per lesa maestà.

Nel frattempo il comico si trova semi-recluso nella sua abitazione e sotto protezione della polizia; la ZDF ha rimosso dal sito il video incriminato e la polizia di Berlino ha impedito una manifestazione di protesta davanti all’Ambasciata turca.

La decisione di concedere l’autorizzazione governativa al giudizio della corte è stata comunicata pubblicamente dalla stessa Merkel. La quale ha spiegato di aver ponderato la questione con i ministeri competenti, aver valutato la sussistenza dei requisiti legali del richiedente, ed aver dunque accolto l’istanza perché è la vetusta, commendevole legge tedesca ad imporlo. Si applica la legge che c’è, ma quella legge è sbagliata e va eliminata. Questo ha detto Merkel.

E ha detto anche di più. Ha espresso “profonda preoccupazione” per la persecuzione dei giornalisti e le continue limitazioni ai diritti delle opposizioni perpetrate in Turchia. Ha detto che la libertà di espressione non è un principio negoziabile ed ha rilevato come l’autorizzazione del governo alla causa penale metta Erdogan nella condizione di sottoporsi al giudizio di un tribunale tedesco perché non è il governo che giudica in Germania: sono i tribunali.

L’opinione pubblica tedesca insorge. Insorge l’opinione pubblica europea. Si indigna la stampa del mondo libero - dal Washington Post al Guardian al Foglio. Il britannico conservatore Spectator - lo stesso che appoggia Boris Johnson nella campagna per la Brexit - lancia un concorso di poesia per il componimento più offensivo da rivolgere ad Erdogan. Mille sterline in palio. Possono concorrere solo poemi che rispettino il criterio di essere completamente diffamatori e pienamente osceni. Perché - è la motivazione dell’iniziativa - “la libertà di parola non è una cosa di cui si parla, è una cosa che si fa”. 

Insorgono in Germania anche le forze politiche che con Merkel condividono la responsabilità di governo. Il Ministro degli Esteri socialdemocratico, Frank-Walter Steinmeier, ed il collega della Giustizia, Heiko Mass, rivendicano la supremazia del diritto costituzionale alla libertà di espressione e presentano una proposta di legge per abrogare l’articolo del codice che la Cancelliera ha invece deciso di applicare.

L’accusa a Merkel è di prostrarsi alle richieste di un dittatore nei confronti del quale ci sarebbe semmai da esigere. Esigere incondizionato ed immediato rispetto per i diritti umani e civili dei cittadini turchi perseguitati dalle autorità giudiziarie controllate dalle autorità politiche per il solo fatto di aver pubblicato notizie (vere) o giudizi (legittimi) non graditi al Presidente. Dunque come può Merkel fare una concessione così simbolicamente cruciale sul terreno dei fondamenti libertari della cultura europea ad un così arrogante mistificatore di quegli stessi principi?

Merkel non ha compiaciuto Erdogan - ha osservato su Facebook Udo Gümpel, corrispondente per l’Italia della Tv tedesca Rtl-Ntv. “Ha dato al contrario una bella lezione su come funziona uno stato di diritto. Anche un Erdogan qualsiasi ha il diritto di rivolgersi ad un giudice indipendente, a differenza delle migliaia di perseguitati dissidenti in Turchia”.

“In realtà - ha scritto James Kirchick su Politico - lo scandalo dimostra le inintenzionali conseguenze negative della globalizzazione”. “Il benessere economico e la sicurezza dell’Occidente, in generale, e dell’Europa in particolare, dipendono sempre più da regimi illiberali ai quali si è disposti a sacrificare i nostri valori fondamentali. E questo vale tanto per il governo italiano che copre le nudità delle statue capitoline per non offendere il presidente iraniano quanto per i giornali che si rifiutano di pubblicare le immagini di Maometto.”

Auto-censuriamo la nostra libertà per non essere costretti allo scontro con chi quella libertà vuole a tutti gli effetti annientare. Lo facciamo perché non possiamo farne a meno o perché non siamo più così certi dei nostri stessi valori?

Noi che ergiamo muri e rivendichiamo dazi e allestiamo galere per quelli che arrivano con un passaporto che sa di remoto; noi che assecondiamo la paranoia nazionalista, regionalista, identitaria per il timore di perdere la nostra identità, sebbene quella identità sia fondata sulla incondizionata supremazia dell’uomo, la sua dignità, la sua libertà. Noi che avremmo potuto protestare contro l’accordo con la Turchia che tutti i governi europei hanno sottoscritto, ma non l’abbiamo fatto. Noi che onoriamo il sacrifico ucraino a Maidan sbattendo le porte in faccia a quegli stessi partigiani della libertà europea che si sono sacrificati nella piazza di Kiev. Noi che avremmo potuto insorgere contro l’annessione della Crimea da parte di Putin, e per la libertà di un popolo militarmente costretto a tornare sovietico, ma che non ci siamo nemmeno posti il problema se girare la testa di là. Noi ora insorgiamo contro la Merkel.

Merkel avrebbe potuto negare l’autorizzazione al procedimento giudiziario contro il comico tedesco perché la satira è satira ed in Europa la satira è libera. Ma oltre alla libertà di espressione - rivendicare la quale costa davvero nulla - in difesa di quale altra libertà fondamentale della civiltà europea siamo disposti a mobilitarci?

@kuliscioff