C'è una nuova guerra fredda in Europa. In tanti se ne accorgono, i media ne parlano, ma non è affatto scontato parlarne. Come non era scontato parlarne durante la prima guerra fredda.

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Una delle cose più curiose che si possono leggere nei quotidiani degli anni '70 e '80, sono titoli ed espressioni giornalistiche quali: "Evitiamo che ricominci la guerra fredda", "l'Europa rischia di ripiombare nella guerra fredda" e analoghe. La "guerra fredda", insomma, è uno stato delle relazioni internazionali perennemente attribuito a un passato da archiviare e ad un futuro a cui non si vuole arrivare, anche quando si è nel bel mezzo della tensione.

Eppure esiste e la si può individuare, se solo considerassimo come un tutt'uno una serie di comportamenti fra due blocchi: il reciproco veto in sede Onu su tutte le maggiori decisioni nell'arena internazionale, esercitazioni programmate e strutturate per prepararsi all'eventualità di un conflitto contro il blocco avversario, percezione reciproca di una minaccia militare, sanzioni economiche reciproche, mancato riconoscimento formale di Stati e governi che l'altro blocco riconosce. Tutte queste caratteristiche della vecchia guerra fredda fra Usa e Urss (e in Europa, fra Nato e Patto di Varsavia) sono le stesse della nuova fra Usa e Russia.

La guerra fredda attuale ha tutte le caratteristiche della vecchia, dunque. E a giudicare dallo spirito prevalente in Russia, la somiglianza è anche ideologica. I russi stanno vivendo un periodo di revival sovietico più forte che mai. I milioni di morti del comunismo sembrano dimenticati e i programmi scolastici russi, su specifiche direttive del Cremlino, li nascondono dietro a una cortina di propaganda patriottica. Le nuove generazioni non sanno che Stalin fu un criminale, con almeno 20 milioni di morti al suo attivo, ma lo considerano un grande leader russo del passato. E tale sentimento riguarda più della metà degli odierni russi. In Ucraina, all'indomani della rivolta del Maidan si svolse una vera e propria guerra delle statue: i ribelli filo-occidentali abbattevano le statue di Lenin, i pro-russi le difendevano con catene umane. La propaganda russa, su tutti i canali mediatici, paragona il governo ucraino a una "giunta nazista", dunque riprende pari-pari il leit motiv di Stalin contro i "popoli collaborazionisti" di Hitler durante la Seconda Guerra Mondiale.

La guerra fredda c'è ancora, ma è "nuova" perché è inedito lo scontro ideologico che si è venuto a creare all'interno dell'Occidente. In passato l'Unione Sovietica poteva contare su una rete di partiti alleati ufficialmente riconosciuti come tali. I Partiti Comunisti erano membri dell'Internazionale, poi del Comintern, poi aderirono a una serie di strutture di raccordo transnazionali. Oggi la Russia di Putin non ha cercato di creare alcuna analoga rete internazionale di contatti. Non a livello formale, per lo meno. Ma a livello informale esiste già qualcosa di simile. Esistono contatti fra partiti occidentali e Mosca, come si è potuto constatare nell'invio di osservatori politici durante il referendum per l'annessione russa della Crimea (che solo la Russia riconosce) e poi il successivo invio di osservatori nelle elezioni delle regioni separatiste nell'Est dell'Ucraina (anche queste riconosciute solo dal Cremlino). In Italia la Lega Nord si fa promotrice di un gruppo di parlamentari chiamato "Amici di Putin". In Francia il Front National ammette di aver ricevuto aiuti economici dalla Russia e la Lega Nord, nella stessa occasione, ammette che non disdegnerebbe affatto di ricevere altrettanto. Matteo Salvini è volato a Mosca per tre volte, dall'inizio della crisi in Ucraina. La rete informale di contatti che il presidente russo Vladimir Putin sta mettendo in piedi nell'Europa occidentale è sempre più evidente, tanto da diventare materia di studio per le migliori riviste di analisi internazionale ed è sotto gli occhi della grande stampa europea, come l'Economist e il Der Spiegel.

Fra i nomi più frequenti che ricorrono in queste analisi troviamo soprattutto il Front National in Francia, Jobbik in Ungheria, Ataka in Bulgaria, il Vlaams Belang in Belgio, l'Fpo in Austria. Tutti questi partiti appartengono alla variegata galassia dell'estrema destra nazionalista. Una Russia nostalgica di Stalin, dunque, va a pescare alleati fra i nostalgici della nazione in una Europa che è sempre più sovranazionale. In Grecia, però, i russi appaiono più coerenti, perché hanno trovato nel governo di estrema sinistra di Tsipras il loro maggiore alleato. Non a caso, però, questo governo è formato da un partito di estrema sinistra (Syriza) alleato con una formazione di estrema destra nazionalista (An El) entrambi anti-europeisti. In Italia, gli alleati sono facili da individuare. C'è prima di tutto la Lega Nord, poi Forza Italia (soprattutto per il legame personale fra Vladimir Putin e Silvio Berlusconi) e anche il Movimento 5 Stelle, quanto a sostegno della causa russa non è da meno, quanto meno a parole.

Visto che il comunismo non è più il collante degli alleati europei della Russia, che cosa hanno in comune tutti questi movimenti e partiti? Il fatto che tutti siano più o meno euro-scettici non contribuisce a render più chiaro lo scenario. Non basta dire che siano contro l'Ue: lo sono in un certo modo. Anche i Conservatori britannici sono euroscettici, ma si oppongono con forza all'espansionismo di Putin. Nel fronte putiniano, Forza Italia era il partito liberale di massa, anticomunista per "dovere morale". La Lega era il partito anti-nazionalista per eccellenza nel centrodestra italiano. Come mai mandano i loro osservatori in Crimea e nel Donbass, assieme a Syriza e a Jobbik, in elezioni organizzate dal Cremlino, sostenute dalle baionette dell'ex Armata Rossa, all'ombra delle pose retoriche delle statue di Lenin?

Se restiamo ancorati alle vecchie categorie politiche di destra e sinistra e agli schieramenti della prima guerra fredda, rischiamo di non capirci nulla. Ieri la guerra fredda si combatteva, in Europa, fra democratici e comunisti. Oggi si combatte fra democratici e ... qualcosa d'altro che è ancora difficile da definire. Sulla definizione di questo blocco politico ci può essere di grande aiuto una fonte russa, Aleksandr Dugin, ideologo dell'eurasiatismo (l'ideologia dell'imperialismo russo), già noto in Italia dove si è recato più volte per conferenze e incontri politici. Dugin, in un saggio fra il serio e il faceto sulla necessità di conquistare l'Europa ci offre la principale chiave di lettura dell'attuale pensiero filo-moscovita:

"Ebbene – scrive – noi offriamo all'Europa di tornare ad essere se stessa. Ne faremo un protettorato! C'è anche il fatto che l'Europa è militarmente debole, ma non abbiamo bisogno di combattere. E perché mai dovremmo combattere con le armi? Combattiamo con il soft power. Offriamo all'Europa di proteggersi dai matrimoni gay, dalle Femen, dalle Pussy Riot e salviamo l'Europa da sé stessa. Dopo tutto, la coscienza europea è in decomposizione e tutti gli europei sani capiscono che fra un po' di tempo il loro continente è destinato a sprofondare nell'abisso. Di essa rimarranno solo enclave di degenerati e immigrati arcaici che non faranno altro che distruggere l'identità europea. Gli europei hanno bisogno di far qualcosa per contrastare questo declino e, guardate, essi sono come Breivik, hanno già iniziato a sparare ai loro stessi concittadini. Hanno iniziato ad autodistruggersi, perché non capiscono cosa fare. Così noi diciamo loro: è sotto il nostro protettorato che vi forniremo protezione. Voi vedete che le nostre Pussy Riot sono in galera. E sbatteremo in galera anche le vostre. Avete le vostre Femen che dissacrano le chiese; qui si beccano ben presto un pugno in faccia e poi vengono gettate nei camion della spazzatura, che è poi la loro sola patria storica. (...) Noi ripristineremo l'ordine! Voi non siete capaci di affrontare l'immigrazione, noi l'affronteremo. La soluzione per gli immigrati è la seguente: valigia, stazione del treno, a casa!"

Più o meno le stesse cose che si sentono ripetere in tutti i comizi della destra europea (e nella Lega Nord). Non stupisce che la filosofia di Dugin faccia proseliti. Meglio sottomettersi alla Russia, per avere ordine, contro le "minacce" della società globale e laica: questo è il leit motiv della nuova causa pro-russa, a tutte le latitudini.

Ed è questa la grande differenza culturale che c'è fra la nuova e la vecchia guerra fredda. Nella vecchia lotta fra democrazie occidentali e l'Urss, i comunisti filo-sovietici si proponevano come unico faro del progresso. Volevano distruggere ogni residuo dell'Europa pre-1917 e completare l'opera della Rivoluzione fino alle sue estreme conseguenze, creare un uomo nuovo e realizzare l'utopia. Nella nuova guerra fredda, la parte che guarda ad Est vuole riportare le lancette dell'orologio a prima del 1789, dichiarando guerra a democrazia, liberalismo, individualismo e illuminismo. L'utopia c'è ancora, ma nel passato, in un immaginario Medioevo mitizzato.

Come si concilia tutto questo pensiero reazionario con la nostalgia di Stalin che domina nell'ex Urss? E' un dato di fatto che si stia conciliando, come dimostra l'alleanza fra Syriza e An El. E come spiega molto chiaramente un neofascista italiano andato a combattere nel Donbass, assieme a comunisti ucraini e russi: "In ogni caso, la loro idea di comunismo è molto diversa da quella dei comunisti russi. Per questo motivo non ho problemi a stare dalla loro stessa parte nel Donbass, mentre in Italia non lo farei mai. Qui l'omosessualismo, il sostegno alle droghe libere o i temi antireligiosi non sono ammessi, per fortuna". Intellettuali apparentemente inconciliabili, come il reazionario Alain De Benoist e il marxista Diego Fusaro, sono entrambi pro-russi e si incontrano in eventi comuni in difesa dei valori tradizionali.

Questo sul piano delle idee. Sul piano dell'opinione pubblica, la Russia pesca consensi soprattutto fra gli sconfitti della globalizzazione, che la crisi ha aumentato a dismisura. Specialmente fra coloro che attribuiscono la responsabilità del loro immiserimento, non alle politiche pubbliche del proprio governo, ma ad una specifica cospirazione internazionale di poteri forti occulti. E vedono nella crisi della famiglia tradizionale, nell'affermarsi dei matrimoni gay, nel nuovo femminismo, nel relativismo, non il risultato di una trasformazione culturale, ma il prodotto di una cospirazione volta specificamente a cambiare la società. Persino l'immigrazione è vista come un fenomeno pianificato da poteri occulti (come nella leggenda nera del piano Kalergi). Una cospirazione che parte, ovviamente, dai soliti noti: ebrei, Stati Uniti, lobby finanziarie internazionali.

Putin è, al contrario, il "cavaliere bianco" che può salvare l'umanità da questi nuovi demoni. Così pensano, almeno, i nuovi reazionari, coloro che si oppongono alle democrazie nella nuova guerra fredda.