putin1

5 settembre 2014: sono passati pochi giorni dalla visita del presidente statunitense Barack Obama a Tallinn. Sul confine fra Estonia e Russia, agenti delle forze speciali di Mosca lanciano fumogeni per distrarre le forze estoni ed entrano in azione. Anche tutti i sistemi di sorveglianza sono temporaneamente accecati dagli specialisti russi della guerra elettronica.

Quando l’azione finisce, i fumi si diradano e i sistemi di sicurezza tornano a funzionare, un estone manca all’appello. E’ un ufficiale della polizia di sicurezza estone (CaPo), di nome Eston Kohver. Riappare poco tempo dopo: in Russia, agli arresti. Sembra l’inizio di un techno-thriller del defunto Tom Clancy o di qualche scrittore nostalgico della guerra fredda, quando spesso accadevano questi incidenti di confine lungo la vecchia Cortina di Ferro. Ma purtroppo è tutto vero e l’episodio ha avuto proprio ieri la sua prima drammatica conclusione: una condanna a 15 comminata a Kohver per spionaggio, contrabbando e detenzione illegale di armi. La sentenza è stata spiccata dal tribunale regionale di Pskov (Russia nordoccidentale) dopo un processo a porte chiuse, dove nemmeno il console estone ha potuto seguire le udienze.

I russi ritengono che Kohver sia stato sorpreso in territorio russo. Di conseguenza le armi che portava sono diventate “illegali”, la sua stessa presenza in territorio russo, in qualità di agente estone diviene “spionaggio”. Secondo fonti russe, sarebbe stato anche in possesso di 5000 dollari (dunque: “contrabbando”) e di materiali di registrazione (altra “conferma” della sua presunta missione). Ma pochi, al di fuori della Russia, credono a questa versione dei fatti. E’ da un anno che le istituzioni estoni denunciano il rapimento del loro ufficiale avvenuta in territorio nazionale estone e si stanno sgolando per chiederne la liberazione.

Ora che la temuta sentenza è arrivata, anche l’Alto Rappresentante della Pesc, Federica Mogherini, con un comunicato insolitamente duro, condanna la detenzione, che definisce “illegale” senza mezzi termini, di un ufficiale di polizia di un paese membro dell’Ue. La Mogherini denuncia una “chiara violazione del diritto internazionale” da parte della Russia. Il premier estone, Taavi Roivas, dal canto suo ribadisce che “tutto il processo è stato una farsa” e che “farà il possibile perché il governo liberi Eston Kohver”.

“Khover chi?” si chiede gran parte dell’opinione pubblica italiana, interessata a tutt’altri problemi. Il rapimento di un ufficiale di polizia dell’Estonia, paese membro dell’Ue e della Nato (di cui facciamo parte anche noi, fino a prova contraria), dovrebbe interessarci direttamente. Perché il caso Kohver è della massima gravità? Non solo e non tanto perché si è trattato, con tutta probabilità, di uno sconfinamento russo in territorio Nato e Ue: a quello, purtroppo, siamo già abituati, viste le frequenti violazioni dello spazio aereo estone da parte di aerei militari russi di tutti i tipi. Si tratta, piuttosto, per la prima volta, della cattura di un funzionario di Stato dell’Ue e della Nato. E non uno qualunque: Kohver è un ufficiale che, prima del suo sequestro, stava indagando su possibili traffici di armi e infiltrazioni russe in Estonia. Il fatto che sia stato catturato, processato per direttissima ed eliminato dalla scena, indica che i russi starebbero, in effetti, preparando “qualcosa” contro l’Estonia. Cosa, non è dato saperlo. Ma l’urgenza e la cura che sono state dedicate all’operazione di sequestro suggeriscono l’importanza della posta in gioco.

Il secondo motivo per cui dovremmo essere preoccupati, è che il caso Kohver non è affatto un episodio isolato, ma l’ultimo di una lunga serie di segnali preoccupanti. Oltre ai già citati sorvoli militari dello spazio aereo dei tre paesi baltici e di altri membri della Nato (Gran Bretagna inclusa), anche le ultime grandi manovre russe, quelle dello scorso marzo, sono abbastanza rivelatrici delle intenzioni di Mosca. Avevano come oggetto vaste operazioni militari nella regione nordoccidentale russa, fra cui lanci di paracadutisti, un attacco di terra e operazioni anti-nave della Flotta del Baltico. Si trattava di manovre offensive e mirate a esercitarsi al combattimento contro eserciti convenzionali, non certo contro “terroristi” o guerriglie locali. A giugno la Nato ha risposto con le sue tre manovre nella regione (Noble Jump, Saber Strike, Baltic Top), giudicate “provocatorie” dalla Russia.

Da un punto di vista politico e legale, i segnali sono ancora più gravi. La Duma russa ha infatti chiesto alla Procura Generale di riesaminare e invalidare il decreto del 24 agosto 1991 con cui l’allora Unione Sovietica aveva riconosciuto l’indipendenza a Estonia, Lettonia e Lituania. Invece di far cadere la questione, assieme alle tante sparate populiste che vengono votate dalla Duma, alla fine del giugno scorso (dunque all’indomani delle manovre della Nato nel Baltico), la Procura Generale russa ha deciso di accogliere l’istanza di revisione. Si tratta, prima di tutto, di una richiesta basata su un falso storico staliniano. La proposta si fonda, infatti, sull’affermazione sovietica che l’occupazione dei tre paesi baltici, nel 1939, fosse volontaria e non frutto di un’invasione militare, che sia stata “chiesta” da governi comunisti locali, legittimamente riconosciuti (dal solo Stalin). Si tratta, poi, di un guazzabuglio legale, perché la Russia, benché sua erede, non è l’Unione Sovietica, i paesi baltici erano repubbliche sovietiche e non province russe e la revisione del decreto del ’91 rimetterebbe in discussione anche l’indipendenza della stessa Russia, proclamata a suo tempo da Eltsin per distaccarsi dall’ex federazione comunista.

Il fatto che la Procura accolga un simile nonsense storico e legale, invece di rispedirlo al mittente, si spiega solo se è un espediente politico: è una chiara minaccia della Russia ai Baltici, un far loro presente che potrebbero essere “ripresi” da Mosca in ogni momento e che addirittura ci potrebbe essere una base “legale” per una loro occupazione. La cattura di una “spia” estone potrebbe essere uno dei pretesti per muoversi in questa direzione.