sarkozy macron

Nelle ultime settimane, l’ex presidente e il suo giovane successore hanno intensificato il dialogo a distanza per preparare in segreto un piano ambizioso: unire, in vista delle elezioni europee, quel che resta dei gollisti e dei socialisti con la galassia macronista per dare vita ad un centro che sbarri la strada ai populisti dell’estrema destra di Marine Le Pen, Eric Zemmour e dell’estrema sinistra di Jean-Luc Mélenchon.

Gli osservatori politici francesi vedono l’influenza di Sarkozy nella recente svolta che ha portato al rimpasto governativo; l’ingresso nella compagine governativa di due fedeli sarkozyste come Rachida Dati, nuova ministra della cultura, e di Catherine Vautrin, neoministra della salute, lavoro e solidarietà nonché la conferma di Gerard Darmanin come ministro dell’interno danno adito a più di un’illazione.

Macron non dispone di una maggioranza all’Assemblée Nationale e i 58 voti di LR (la formazione che ha raccolto l’eredita dell’Ump di ispirazione gollista) sono necessari per garantire la governabilità senza ricorrere costantemente al 49 comma 3, l’articolo della Costituzione che permette, in casi eccezionali, di bypassare il voto in parlamento. Sarkozy aveva preso le distanze dal suo ex partito già nel 2022 quando decise di appoggiare Macron all'elezione presidenziale e non Valerie Pecresse che raccolse un misero 5%.

Due temi hanno determinato l’avvicinamento tra i due presidenti: l’identità nazionale e la riforma delle pensioni. Sull’identità francese Macron ha ripreso un tema caro a Sarkozy. “Essere francesi” ha dichiarato “è condividere una lingua ed una storia”. Macron aggiunge la parola “laicità” al trittico libertà, uguaglianza, fratellanza. Una sorta di universalismo alla francese che, pur rispettando tutti i culti religiosi, riconosce solo una comunità nazionale respingendo gli assalti degli estremisti islamici che sono ben decisi ad imporre l’esistenza di comunità autonome e a mettere “la charia davanti ai buoi”.

Il tema è particolarmente sentito per via della recrudescenza dell’estremismo islamico e degli atti di antisemitismo. Come ha denunciato Elisabeth Badinter (moglie di Robert Badinter), dal 7 ottobre, si sono registrati 719 incidenti antisemiti e 389 denunce.

Contro l'intollerabile e contro il dilagare dell'antisemitismo in Francia, Badinter chiede di intervenire contro quei gruppi che incitano all'odio contro Israele e fanno l'apologia dei crimini di Hamas. Si tratta di gruppi di estrema sinistra che flirtano impunemente con la parte peggiore dell'estremismo islamico.

Elisabeth Badinter denuncia il clima di odio verso Israele che sta facendo emergere un preoccupante amalgama tra l'estremismo islamico e l'estrema sinistra. Badinter ribadisce con forza che Hamas è un'organizzazione terrorista ed ha indirizzato insieme ad Alain Finkielkraut ed altri intellettuali della fondazione Tommaso Moro di Parigi un appello al ministro dell'interno Gerard Darmanin chiedendo di mettere fuori legge tutte le associazioni che inneggiano ad Hamas. Sarkozy e Macron aderirono alla marcia dei centomila che sfilarono a Parigi con il CRIF e le associazioni ebraiche dopo i fatti del 7 ottobre.

Il divieto di indossare l’abaya (il camice nero che copre tutto il corpo eccetto le mani e i piedi) nelle scuole, dimostra la volontà di Macron di proseguire la lotta contro il comunitarismo islamico propria dei suoi predecessori Chirac e Sarkozy.
La riforma delle pensioni e la rivolta scomposta dei “gilets jaunes” è un altro tema che ha contribuito ad avvicinare sensibilmente Sarkozy e Macron.

Nicolas Bavarez aveva osservato che in Francia la politica coltiva l’arte di rendere impossibile le cose necessarie. Ogni tentativo di riforma delle pensioni dal 1995 in poi ha generato scontri e proteste. Jacques Juillard scrisse che il Partito Socialista seguendo Mélenchon ha finito per portare i libri in tribunale come dimostra il deludente risultato di Anne Hidalgo alla presidenziale del 2022 (1.75%). Juillard critica anche i sindacati rei di favorire l’immobilismo; gli eventi -scrive- si ripetono sempre due volte, la prima sotto forma di tragedia, la seconda di farsa. Dopo la primavera della speranza del maggio ’68, l’autunno dei risentimenti dei gilets jaunes.

La Francia ha dimostrato troppe volte di essere un paese in cui è difficile governare: il sistema di protezione sociale, tra i migliori al mondo, di cui i francesi sono legittimamente fieri, che fu elaborato sotto l’euforia dei “Trente Glorieuses”, oggi deve fare i conti con le ristrettezze di bilancio e certi privilegi nella funzione pubblica non sono più sostenibili con le esigenze economiche. Il debito pubblico è arrivato al 112% del Pil e il sistema previdenziale va riformato pena il crash finanziario.
Il piano di Macron e Sarkozy è di assorbire quel che resta del Partito Socialista e dei gollisti ridotti al lumicino per la loro mediocrità ed opporsi sia all’estrema sinistra di Melenchon, sia all’estrema destra di Zemmour e Marine Le Pen che gettano continuamente benzina sul fuoco.

Si tratta di fermare il declino della democrazia in seguito all’avanzata del populismo; la Francia e l’Europa sono sotto la minaccia di un fenomeno che minaccia la libertà. La stagnazione del livello di vita dei ceti medi, la deindustrializzazione, il passaggio alla società multietnica, lo sviluppo d’internet e dei social sono solo alcuni dei fattori che spiegano il fenomeno. Ma non è il popolo che è populista, ma i demagoghi e gli avventurieri nella speranza di sostituirsi ai poteri rappresentativi: è la crisi delle istituzioni democratiche, partiti, sindacati, movimenti d’opinione, che spiega in parte il fenomeno. Il populismo è prevalentemente un fenomeno di estrema destra poiché si basa su una critica radicale del sistema rappresentativo e in una fiducia cieca nel movimento contrapposto alla ragione. Le manifestazioni dei no-vax e dei “gilets jaunes” che altro non sono se non “emozioni popolari” senza capo né coda?

La lotta delle classi viene sostituita da movimenti che tra utopia e complottismo sostituiscono l’odio alla critica, il risentimento alla solidarietà, l’egoismo alla fratellanza. Le manifestazioni di odio contro Emmanuel Macron culminate nelle esecuzioni simboliche di manichini che lo raffigurano, il dileggio continuo nei confronti di sua moglie, rappresentano la sconfitta della politica. Quando si attaccano i simboli della République -scrive Juillard- e l’odio si sostituisce alla critica, si ha una pericolosa regressione della democrazia. Il populismo è proprio questo; l’identificazione del popolo con la verità assoluta. Il moralismo applicato non a sé stessi, ma agli altri. Il popolo giudice che trasforma presunti torti in istanze politiche spiando dal buco della serratura. Un ordine morale che riecheggia quei peggiori istinti antirepubblicani che portarono a Vichy.

Come gran parte della mia generazione - scrive Franz-Ollivier Giesbert nella sua trilogia sulla Quinta Repubblica - ho sempre creduto che il mondo fosse stato creato per leggere libri che sono necessari come l’aria che respiriamo. Mitterand incarnava quella filosofia, ed è per quello che gli abbiamo perdonato tutto, le sue ambiguità, i suoi deliri economici, i suoi eccessi di vanità e la sua pratica monarchica del potere. Voltaire, diceva, è lo spirito più rappresentativo del genio francese. Era affascinato dal suo anticonformismo, dalla capacità di irridere sia la monarchia assoluta, sia il fanatismo religioso.

Tutto il contrario di Rousseau, il padre spirituale di Robespierre e del terrore a cui sembrano ispirarsi tutti gli estremisti che animano la scena politica di oggi. Da un lato il male, la cupidigia, i colpevoli. Dall’altro il bene e la morale, le virtù. La democrazia “pura” che permette ai demagoghi di imporre la loro legge in “nome del popolo”.

La Francia e l’Europa sono seriamente minacciate dal populismo e Macron e Sarkozy intendono opporvisi.