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Forse il “punto più basso” della presidenza Trump non è da cercarsi nella conferenza stampa di ieri a Helsinki con Putin, come ha segnalato il vecchio Senatore Repubblicano John McCain nella dichiarazione di cui abbiamo trascritto stamattina su Strade il testo integrale tradotto, durante la quale il presidente americano ha pubblicamente e incredibilmente sconfessato l’operato dell’intelligence americana e scagionato l’autocrate russo dalle accuse di interferenze nell’ultima campagna presidenziale.

Se vogliamo cercare un punto di non ritorno ancora più significativo, lo dobbiamo andare a cercare nell’intervista rilasciata il giorno predente alla CBS, durante la quale Donald Trump ha definito l’Unione Europea a foe, “un nemico”. Il suo più grande "nemico".

Per decenni, a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, la politica internazionale ha avuto la funzione storica di integrare progressivamente tra loro economie concorrenti, e di integrarle attraverso i valori comuni del diritto e della libertà. Per questo le due sponde dell’Atlantico sono (erano?) strutturalmente e intrinsecamente amiche e alleate, e perché amiche e alleate possono perseguire la prosperità delle persone proprio attraverso la concorrenza economica e il mercato, sempre più aperto e fair.

Oggi un’ideologia che ripudia il mercato e la globalizzazione, di cui Donald Trump è il campione (e Putin il primo beneficiario) ma che trova campioncini ed emuli un po’ ovunque, a cominciare dalle fila del Governo italiano, legittima e autorizza la definizione di “nemico” per qualsiasi competitore commerciale, ripristinando di fatto la correlazione clausewitziana tra politica e guerra (“la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi”) che, almeno da questa parte del mondo, sembrava morta e sepolta dalla metà del secolo scorso.

È di questi giorni il surreale dibattito sul Ceta, il trattato di libero scambio tra Europa e Canada, con il Movimento 5 Stelle e la Lega che hanno promesso di non ratificarlo nonostante gli evidenti vantaggi che ha portato alla nostra economia nel periodo in cui è stato provvisoriamente applicato. Ma è evidente che non sono i benefici per la nostra bilancia commerciale a poter scalfire le certezze di chi è tornato a definire il commercio in termini di spazio vitale da conquistare “politicamente” a scapito degli altri. Così come non sarà il rifiuto di Orban ad accogliere i migranti sbarcati a Pozzallo, che invece la Merkel e Macron si sono impegnati a distribuire anche nei loro paesi, a ridefinire le amicizie e le alleanze di Salvini e del governo rispetto ai paesi europei occidentali e quelli del Gruppo di Visegrad.

C’è un’affinità ideologica e culturale tra i campioni del sovranismo etno-nazionalista che supera qualsiasi evidenza empirica, e rispetto alla quale la disponibilità alla cooperazione rappresenta in sé un cedimento intollerabile: la Merkel è "nemica" per Salvini proprio perché disposta ad aiutare l’Italia sui migranti, così come è "nemica" per Trump perché attiva nel costruire uno spazio di benessere economico e politico comune.

Rispetto a tutto questo, non tanto rispetto all’America, quanto all’ideologia che si è insediata alla Casa Bianca (e a Palazzo Chigi, per non parlare del Cremlino), ancora una volta l’Unione Europea rappresenta il baluardo politico e culturale da difendere.

@giordanomasini