trumpsiria

Gli Stati Uniti hanno sferrato nella notte un attacco missilistico sulla base militare dalla quale presumibilmente sono decollati i jet responsabili del bombardamento chimico su Iblid. Nonostante sia presto per definire le dimensioni e la portata della svolta di Trump sulla Siria - e conseguentemente sulla Russia di Putin - ci sono pochi dubbi che si tratti di una svolta, almeno se si confronta questa decisione con le dichiarazioni degli ultimi mesi, e già questo permette di fare alcune considerazioni.

Le ragioni che hanno spinto Trump ad attaccare, o a cedere alle pressioni del Pentagono in questa direzione, possono essere molteplici, e non è escluso che vi possa essere anche il tentativo di ricreare consenso attorno a una presidenza la cui popolarità è in declino. Ma una decisione simile segnala innanzitutto che non è possibile stravolgere dalla sera alla mattina la politica estera degli Stati Uniti. La propaganda trumpiana che proponeva gli USA allineati in una improbabile e antistorica alleanza con Putin appare quindi per quel che probabilmente era: propaganda, per l’appunto.

Putin è insieme all’Iran il principale alleato di Assad in Siria contro i ribelli, mentre gli USA sostengono i Curdi nella guerra contro lo Stato Islamico. Sono due fronti di guerra distinti tra i tanti fronti del conflitto siriano, ma né il progressivo disimpegno di Obama dal Medio Oriente né l’elezione di Trump hanno cambiato finora questa sostanziale divergenza di interessi. Divergenza che viene ribadita con forza con il bombardamento di stanotte, avvenuto dopo che Assad aveva oltrepassato una linea rossa che era stata tracciata da Obama, anche se Obama si era astenuto dal farla rispettare.

Gli USA tornano in grande stile in Medio Oriente, quindi? E’ improbabile, ed è comunque presto per dirlo. Anche l’isolazionismo in politica estera non è tutta farina del sacco di Trump, era stato anticipato già da Obama - ricorderete la lunga intervista all’Atlantic in cui ricollocava gli USA nel mondo e definiva “scrocconi” (lui, non Trump) gli alleati europei - in virtù di interessi geopolitici ben più solidi delle sparate di una campagna elettorale tesa come quella da poco conclusa. Anche in questo senso, in Trump c’è più continuità con il passato di quanto lui stesso non ami far vedere.

In ogni caso, comunque andranno a finire le cose, vedere che gli Stati Uniti sono ancora dalla parte giusta, dopo aver temuto che Trump potesse trascinarli dalla parte sbagliata, è senz'altro una buona notizia.