Trump Clinton 2

Manca meno di un mese all’elezione del quarantacinquesimo Presidente degli Stati Uniti d’America: i tempi sono quindi maturi per fare i conti con la realtà, per quanto sgradevole essa sia.
E la realtà è che il prossimo presidente, piaccia o no:
a) sarà uno di questi due:
b) davvero non sappiamo quale dei due.

Sarà Hillary Clinton, la peggior candidata che il partito Democratico (svantaggiato in partenza dal fatto di aver già detenuto la Casa Bianca per otto anni) potesse scegliersi, una candidata talmente debole, impopolare e poco credibile da risultare, nei sondaggi, in vantaggio di un nonnulla nonostante tutto ciò che di repellente e screditante è stato rovesciato sul suo antagonista negli ultimi dieci giorni; oppure sarà Donald Trump, un personaggio sul cui conto è fin troppo facile reperire una valanga di materiale repellente e screditante, ma sempre con effetti mini sull’opinione pubblica, perché la sua candidatura è un esperimento la cui regola n.1 è “there is no bad publicity”, la reputazione per lui non conta, non lo si vota perché lo si stima ma perché lo si trova idoneo a rottamare quell’altra e tutto ciò che quell’altra rappresenta nell’immaginario collettivo.

Se il primo dibattito fra i due, tenutosi il 26 settembre, si era concluso lasciando gli elettori indecisi nel loro limbo, sospetto che altrettanto sia accaduto con il secondo, tenutosi ieri sera (stanotte per chi segue da questa sponda dell’Oceano). La vera differenza è che in questo secondo round nessuno dei due candidati ha nemmeno provato a conquistare consensi dagli indecisi: Trump veniva da una settimana talmente disastrosa da doversi preoccupare più che altro di evitare una emorragia di consensi tra coloro che hanno più o meno già scelto di votare per lui, mentre Hillary, che aveva già sparato praticamente tutte le sue cartucce (non moltissime, per la verità: ho già ricordato che si tratta della peggior candidata che il partito Democratico potesse scegliersi?) nel primo dibattito, era fisiologicamente destinata a giocare in difesa per consolidare il sottile, fragilissimo vantaggio faticosamente racimolato negli ultimi giorni.

Ciascuno dei due è riuscito nel proprio intento: Trump è stato bravo, sul pezzo, ha trovato un punto di equilibrio tra tono di voce e movenze pacati e controllati, e contenuti aggressivi e sempre in perfetta sintonia con il sentire dei suoi simpatizzanti (cioè con gli antipatizzanti dell’antagonista); Hillary lo ha per lo più ignorato, non si è mai scomposta (nemmeno quando l’avversario si è spinto ad affermare che se lui sarà eletto lei finirà in galera) ed ha recitato diligentemente la sua parte interloquendo con il pubblico.

Tutto induce quindi a ritenere che la defezione annunciata alla vigilia del dibattito dal senatore dell’Arizona John McCain, il quale sabato sera aveva ritirato ufficialmente il suo endorsement per Trump, rimarrà un caso isolato; e che questa campagna elettorale proseguirà all’insegna della patente mancanza di rispetto per tutto e per tutti, ben sintetizzata dal videomessaggio di insulti e minacce che uno stralunato Robert De Niro ha pubblicato alla vigilia di questo dibattito.

Un consiglio: se volete farvi un’idea, guardate il filmato del dibattito (anche solo una ventina di minuti) osservando solo le immagini, disinteressandovi di ciò che i due dicono. Tanto, in questa pessima campagna elettorale i contenuti contano quanto in una campagna elettorale italiana, ossia quasi zero. Se osservate la mimica dei due e la confrontate con quella del primo dibattito, noterete facilmente che mentre Hillary stavolta ha notevolmente moderato la tendenza a sorridere in modo ostentato, quasi caricaturale, che nel primo dibattito era invece stata la sua principale tattica comunicativa, ma ha pur sempre mantenuto un atteggiamento piuttosto sorridente, Trump invece, pur avendo moderato il tono della voce ed assunto movenze più calme, ha mantenuto una marcata tendenza a non sorridere. Mai. La sua espressione tende sempre ad essere torva e corrucciata. È stato così nel primo dibattito, ed è stato così anche stanotte. Per tutto il tempo.

Questa è la scommessa di Trump, in fondo: l’America è arrabbiata, spaventata e spazientita. Non c’è nulla per cui sorridere e il consenso si può coagulare attorno ad un outsider che si limiti a fare un po’ come il protagonista del film “Quinto Potere”, il quale a reti unificate gridava ed incoraggiava tutti ad alzarsi, aprire la finestra e gridare "I'm as mad as hell, and I'm not going to take this anymore” (“Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più”, nella versione italiana)

Diffidate di chi finge di aver già capito se questa scommessa la sta vincendo o perdendo.