Antonin Scalia

“Noi non rivestiamo questa carica per fare la legge, per decidere chi deve vincere. Noi decidiamo solo chi vince applicando la legge che il popolo si è dato. E molto spesso, se sei un buon giudice, ti capita di orientarti verso un risultato che non ti piace per niente”.
Antonin Scalia, intervista a C-Span, 2009

Antonin Scalia è morto nel sonno sabato, mentre si riposava da una battuta di caccia in Texas (una fine poeticamente perfetta, per un conservatore come lui), e ora nulla è più come prima. La Corte Suprema degli Stati Uniti non ha più il leader della sua “ala destra”, e il mondo politico conservatore americano è orfano del suo più brillante punto di riferimento giuridico. Aggiungiamoci poi che si tratta anche del più influente italoamericano dell’America contemporanea. Veder parlare un giudice della Corte Suprema è sempre uno spettacolo, scriveva nel 2005 Margaret Talbot sul New Yorker, ma “è da Scalia che ci si può aspettare l’equivalente giurisprudenziale dello sfasciare una chitarra sul palco”.

Una superstar, insomma. Ma attenzione: Scalia non è stato solo un oratore e un polemista dotato di raro carisma e di irresistibile humour. È stato anche un intellettuale straordinariamente onesto e coerente. Spesso i conservatori vengono accusati di facile opportunismo rispetto alla presunta difesa del dettato letterale della Costituzione, contro arbitrarie interpretazioni “creative” che vorrebbero aggiornarla alla attualità. Non di rado l’accusa è fondata; ma nel caso di Scalia, non è stato così. Anzi. Lui giocava in un altro campionato.

Esiste una serie di sue decisioni (58 dei ben 342 casi nei quali il suo voto è stato determinante, stando al database della Corte Suprema) i cui effetti concreti, politicamente, sarebbero etichettati “di sinistra”, ma che lui non ha esitato ad adottare nel rispetto della sua visione giuridica. Per molti anni i suoi assistenti se li è scelti di sinistra, per poter lavorare confrontandosi sempre con visioni opposte alla sua. E anche tra i suoi allievi ci sono degli insospettabili, come il celebre intellettuale progressista Cass Sunstein, il professore di Harvard (nonché marito di Samantha Power, nominata da Obama ambasciatrice Usa all’ONU) che Obama mise a capo dell' “Ufficio dell'Informazione e delle Regole”, il quale ieri ha firmato un toccante elogio del suo maestro.

Spesso l’importanza di un giudice all’interno della Corte viene valutata, banalmente, con il pallottoliere delle appartenenze: il suo voto fa pendere la bilancia da questa o quella parte? Ma il ruolo di Scalia è stato ben altro. La sua leadership intellettuale è stata talmente forte da imprimere una direzione a numerose decisioni non solo in termini di banale conta dei voti, ma di percorso intellettuale. Si pensi, un esempio fra molti, alla sua scrittura della sentenza "District of Columbia versus Heller" che nel 2008 ha segnato una pietra miliare nella annosa diatriba sul diritto a girare armati.

Soprattutto, Scalia verrà ricordato per le sue strepitose “dissenting opinion”, le caustiche e colorite espressioni del suo dissenso formulate nelle (numerose) occasioni nelle quali si è trovato in minoranza. Si pensi a quando, quattro anni fa, nel discutere la costituzionalità della riforma del sistema sanitario voluta da Obama, affermò che se lo Stato ha diritto di imporre all'individuo di comprare l'assicurazione sanitaria quando sceglie come gestire il rischio per la propria salute, allora può anche imporgli di comprare i broccoli quando va al supermercato a fare la spesa. Ecco cosa è stato Scalia: un intellettuale talmente raffinato da non divenire mai elitario. La sua forza è stata anche in questo, nella sua inclinazione ad esprimere le sue idee con immagini talmente semplici ed immediate da far invidia ad un copywriter pubblicitario, rendendo la sua scienza digeribile all’uomo della strada.

Ma siamo in campagna elettorale, e l'improvvisa scomparsa di un simile gigante è finita all’istante in quel tritacarne. C’è un seggio vuoto da colmare ora, un seggio di quelli che non si liberano spesso, e la faccenda è troppo calda per non approfittarne. Gli aspiranti candidati repubblicani alla Casa Bianca – a cominciare da Ted Cruz, che vent’anni fa aveva lavorato come assistente del Presidente della Corte – si sono precipitati con scatto quasi atletico a diffidare Obama dal violare la consuetudine stando alla quale un presidente uscente non nomina nuovi giudici costituzionali, ma passa la mano al suo successore. Obama (contrariamente al suo solito) ha risposto con altrettanta prontezza, con un elogio non formale di Scalia, al temine del quale ha raccolto il guanto di sfida: scordatevelo, il suo successore lo nominerò io.

Ad occhi ingenui questa forzatura da parte di Obama potrebbe apparire mirata a mettere a segno un colpo cruciale contro la “rivoluzione conservatrice” iniziata da Reagan esattamente 30 anni fa e mai del tutto compiuta. Nel 1986 Reagan aveva assestato, nel giro di pochi mesi, prima la promozione a Chief Justice (Presidente della Corte) del conservatore duro e puro William Rehnquist, e poi, per l’appunto, la nomina di Antonin Scalia. Se avesse nominato un altro giudice conservatore, la Corte Suprema avrebbe avuto una solida maggioranza “di destra” per generazioni. Provò a chiudere la partita l’anno dopo proponendo la nomina di Robert Bork, ma a quel punto i Democratici scatenarono l’inferno come mai in precedenza, finché alla fine il presidente desistette e ripiegò sul “centrista” Anthony Kennedy, che avrebbe fatto per decenni, e fa tutt’ora, da ago della bilancia all’interno della Corte.

Quella partita non si è mai chiusa, e da trent’anni si gioca in un campo avvolto dalla nebbia della imprevedibilità. I giudici della Corte Suprema, per garantirne l'indipendenza, sono nominati a vita. Essi pertanto “sopravvivono”, spesso di gran lunga, alla presidenza che ne partorisce la nomina; e non vengono sostituiti se non quando se ne vanno spontaneamente per anzianità o malattia (è rarissimo il destino toccato a Scalia della morte improvvisa di un giudice ancora in carica). Non si può mai sapere quanti giudici avrà occasione di nominare un presidente nel corso del suo mandato; l’anzianità e gli acciacchi di ciascuno di essi sono comunque costantemente e cinicamente monitorati, e negli ultimi anni gli occhi erano puntati sul seggio di Ruth Bader Ginsburg, uno dei membri più smaccatamente “progressisti” della Corte nonché l’unica donna a farne parte prima delle due nominate da Obama, anziana e operata di cancro al pancreas - la quale invece è ancora lì, alla faccia di chi le vuole male.

Se Obama fosse stato chiamato a sostituire lei, avrebbe potuto tutt’al più sostituire (per la terza volta) un giudice di sinistra con un altro del medesimo colore politico, senza minimamente alterare il precario equilibrio 4 + 4 + 1: quattro conservatori (Scalia, Thomas, Alito e il presidente Roberts), quattro progressisti (anzi tre progressiste più uno: Ginsburg, Sotomayor, Kagan e Breyer) ed un residuo solitario centrista (Kennedy).

Ma il destino ha voluto diversamente: il prossimo scranno da riassegnare sarà quello del conservatore Scalia. Provvedere ora significherebbe, per i Democratici, annullare preventivamente l’effetto politico della nomina del successore della Ginsburg se il prossimo presidente sarà Repubblicano, o addirittura assicurarsi dopo tanto tempo una maggioranza di sinistra nella Corte se sarà Democratico.

È davvero questo che Obama intende fare? Probabilmente no. La nomina necessita della approvazione da parte del Senato, dove attualmente sono in maggioranza i repubblicani i quali faranno qualsiasi cosa pur di non dargliela vinta. È più verosimile che lo scopo reale del presidente uscente sia molto meno nobile e molto più cinico: buttarla in politica e in caciara, aprire un nuovo fronte sul quale gli avversari saranno fisiologicamente portati ad investire molto, forse troppo.

Di certo sarà guerra, una guerra fatta di ostruzionismo e di estremizzazioni, nella quale non faticheranno a mettersi in mostra i due aspiranti alla candidatura repubblicana alla Casa Bianca che attualmente sono anche senatori: Ted Cruz e Marco Rubio.