Genova per noi. In che senso l’incuria è una “questione politica”
Editoriale

Mentre Genova affonda e l'Italia annega nella paludosa retorica sugli angeli e sui demoni del fango (da una parte i ragazzi volonterosi con la pala, dall'altra i burocrati neghittosi), non sembra emergere una coscienza chiara e onesta del disastro politico che le cosiddette calamità illuminano di una luce nefasta.
La storia per cui in Italia l'incuria – che è un moltiplicatore dell'effetto naturale e, spesso, la sua causa – sia politica solo nel senso dell'irresponsabilità colpevole dei politici e dei loro "sottopanza" burocratici è uno dei tanti falsi storici di cui è popolata la falsa coscienza di un Paese molto più compromesso, in alto e in basso, e per via rigorosamente "democratica", con il fallimento dello Stato.
La fragilità degli equilibri idrogeologici e dei dispositivi istituzionali necessari a prevenirli e a rimediarli fotografa perfettamente la cultura di un Paese per cui il "preservare" coincide con il non fare e il "costruire" con un uso indiscriminato di risorse naturali, affrancato dal peso delle possibili conseguenze di medio e lungo periodo.
L'Italia è nello stesso tempo un Paese in cui le cosiddette grandi opere, per il fatto di essere grandi, sono il male, ma delle milioni di piccole opere abusive o legali, che sovvertono i principi elementari della prudenza, si vede solo la somma e non gli addendi. Così in Italia è quasi impossibile costruire un termovalorizzatore o perfino un grattacielo, ma è assolutamente impossibile impedire che la gente viva in case costruite sul greto di un fiume o sulle pendici di un vulcano.
Allo stesso modo, delle regole – da quelle urbanistiche a quelle che disciplinano gli interventi di protezione ambientale e civile – si ragiona secondo il principio per cui la legalità – come labirinto di divieti, di sensi unici e di lungaggini atte a prevenire gli abusi – sia di per sé inefficiente e l'efficienza sia invece incompatibile con i criteri della legalità formale e sostanziale. Insomma, o è Genova, o è il Mose. O è il perenne "non possumus" o è l'onnipotenza "in deroga" dei Bertolaso e delle cricche.
Questa schizofrenia non è solo dei "politici", ma anche del "popolo", nella doppia veste di costruttore/distruttore di città sempre più fragili e sbilenche e di committente democratico di questa scissione tra le ragioni di tutti e gli interessi di ciascuno. O vogliamo per caso sostenere che le centinaia di migliaia di persone che vivono alle falde del Vesuvio – in zone addirittura inevacuabili – pur in presenza di un rischio certo di risveglio del vulcano, una vera e propria bomba a orologeria, stiano tutte lì per colpa dei "politici"?

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