25 aprile grande def

Il 25 Aprile non è per tutti. Questo a Torino è stato decretato e sostenuto dall’ANPI tra le grinte, le ghigne e i musi, e dai gruppi antagonisti, in particolare dal CSO Askatasuna e dal gruppo transfemminista NUDM, che si descrivono “antifascisti militanti e sostanziali” al grido di «Intifada vincerà, Palestina libera, Israele Stato assassino».

Questi ultimi tre cori sono stati intonati già in Piazza Arbarello, punto di ritrovo per l’inizio della tradizionale fiaccolata del 24 aprile sera a Torino, alla presenza delle istituzioni cittadine, banda compresa, e di tutte le sigle e le realtà associative e dei cittadini e delle cittadine che si riuniscono attorno alla riaffermazione del principio fondativo della nostra Repubblica: l’Italia è antifascista, ovvero la liberazione dell’Italia dall’occupante nazista e dai fascisti operata, per la maggior parte, ma non solo, dalle truppe alleate spalleggiate, per la maggior parte, ma non solo, dalle formazioni partigiane dei partiti antifascisti, per la maggior parte ma non solo di radice comunista.

Ecco: per la maggior parte ma non solo. Questo che può sembrare un dettaglio – che poi la Storia è fatta di dettagli – ieri è divenuto lo scalino su cui questi sedicenti antifascisti sono inciampati, calando la maschera e mostrando tutta la loro veemenza e violenza, queste si, squadriste.

Nel 1973 Marco Pannella scrisse un’ormai ultracitata – non per questo realmente conosciuta - prefazione-lettera aperta ad un libro di Andrea Valcarenghi, “Underground a pugno chiuso!” nella quale coniava con una straordinaria potenza di immagine e di retorica, come sovente gli capitava anche nello scritto, la celeberrima definizione del fascismo degli antifascisti: «come puoi non comprendere il fascismo di questo antifascismo? Come puoi, ancora, sopportare l’inadeguatezza dell’ingiuria, dell’insulto, del disprezzo, del manicheismo dozzinale, classista, non laico, fariseo […]».

Questo chiedeva Pannella a Valcarenghi, e con questo ieri i radicali dell’Associazione Radicale Adelaide Aglietta e i liberali torinesi, in piazza Arbarello, a Torino si sono dovuti confrontare: con una espressione della sinistra e della sinistra antagonista che non solo non lascia spazio a sigle che non siano afferibili al loro rassicurante alveo acritico, ma che costringe chi non è allineato al loro pensiero e alle loro modalità e ai loro credo ipocriti e formali, ad uscire dal corteo del 25 Aprile, di fatto negando il principio stesso per il quale ci si ritrova lì. Quel che è successo il 24 aprile a Torino, ovviamente, è successo anche il 25 a Milano e Roma. Non è un caso, ma una regola.

Non è gradito il gagliardetto della FIAP, la Federazione italiana delle associazioni partigiane che nasce per distanziarsi, già nel 1949, dall’atteggiamento filo-sovietico dell’ANPI, a tutt’oggi non solo non elaborato, ma rivendicato con orgoglio, al punto di non riconoscere alcun sostegno alla causa della Resistenza ucraina. Si disconoscono e si delegittimano i fratelli Rosselli, Ernesto Rossi e Piero Calamandrei, perché quel sacrificio non allineato agli ideali comunisti, ma fondato sui valori del riformismo, della democrazia e del liberalismo, non merita di essere ricordato, celebrato, indicato come strutturale della Repubblica italiana.

Partigiani di serie B, morti di serie B, italiani di serie B.

Non sono gradite le bandiere dell’Ucraina, al punto che vengono strappate e gettate tra i cespugli, intimando a chi le sventolava di uscire dal corteo perché «i nazisti ucraini» non possono sfilare in quel corteo, perché la Resistenza ucraina non ha valore, perché in quelle terre oggi si combatte una guerra che tutto sommato dovrebbe vedere finalmente una resa dei cocciuti nazionalisti ucraini, una cessione di territorio – di libertà, diritti, dignità – al despota russo: torna la questione filosovietica, con cui evidentemente i compagni dell’ANPI e i loro giovani adepti antagonisti non hanno ancora fatto i conti, né politicamente, né storicamente.

L’ANPI scrive, alla vigilia del 25 aprile, un comunicato stampa in cui blandamente fa appello ad una vaga pace, di cui non solo non interessa approfondire quanto sia sinonimo di sconfitta di un popolo, che oggi protegge con il proprio corpo e il proprio sangue i confini orientali d’Europa dal dilagare della potenza antidemocratica putiniana, ma che addirittura porta in sé evidenti i segni del rinnovato tentativo di dare patenti di resistenza, di legittimità, di adeguatezza: il Presidente dell’ANPI sciorina distinguo tra la Resistenza italiana e quella ucraina, con patetici e poco credibili tentativi di assolvere la propria violenza in un brodo annacquato di pacifismo irresponsabile.

Guerre di serie B, soldati di serie B, libertà di serie B.

Non sono gradite le bandiere della Brigata Ebraica, così come le foto degli ostaggi israeliani che alcuni esponenti radicali portavano al collo, ricordandone le vite spezzate dal terrorismo antisemita di Hamas: simboli di resistenza al fondamentalismo islamico e vittime anche di una politica incondivisibile di repressione, illiberale e violenta del governo di Netanyahu.

Viene strappato e spezzato il vessillo della Brigata Ebraica, perché ancora si danno patenti di legittimità, perché ancora ci sono partigiani di seri B, morti di serie B, Resistenze di serie B. Come il 7 ottobre scoprimmo che ci sono donne di serie B, stupri di serie B, femminicidi di serie B. Ma non solo viene umiliata la memoria del sacrificio di quegli uomini e di quelle donne, ma viene attaccato chi porta quella bandiera perché ebreo: fuori i sionisti dal corteo, fuori gli ebrei dal corteo, fuori i terroristi d’Israele dal corteo.

Che abbiano trovato finalmente, i compagni dell’ANPI e della sinistra antagonista, il coraggio di dirsi antisemiti? Ne saremmo lieti: la consapevolezza è il primo passo per un profondo cammino di autocoscienza.

Il 25 Aprile non è per tutti, dunque: certamente a Torino non è una celebrazione che include i radicali e i liberali, che avrebbero sfilato con uno striscione dedicato a Bruno Segre, amico e compagno di strada da decenni dell’Associazione Aglietta e delle sigle liberali piemontesi.

Chiunque lo abbia conosciuto, chi abbia avuto il piacere di ascoltare un suo intervento, di seguire un suo ragionamento, di confrontarsi con la sua intelligenza vivace, sa che Bruno Segre era in grado davvero di parlare, cioè di ascoltare, con tutti, mosso da un principio profondo, il laicismo, che lo conduceva al bene più prezioso, la libertà.

Ecco, ancora una volta il nostro 25 Aprile di radicali è con e per Bruno Segre: viva la Resistenza, viva la libertà!