Chi ha il diritto di celebrare il 25 aprile? La destra no, e lo sappiamo da un pezzo. Quando Letizia Moratti provò a sfilare in corteo spingendo la carrozzella del padre, ex deportato al campo di concentramento di Dachau e decorato con medaglie alla Resistenza, se ne dovette andare inseguita dagli ululati. Era il 2005, dieci anni fa, ma da allora la platea degli aventi diritto si è ulteriormente ristretta.

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Nel 2013, vicino Marzabotto, interruppero Pietro Grasso, appena eletto presidente del Senato con i voti di Sel e di pezzi del M5S. Un anno fa fu contestato Giuliano Pisapia, il sindaco ex-Dp che aveva fatto sognare l'intero movimentismo milanese. E quest'anno Alessandria chiude le porte a Maria Elena Boschi e rifiuta in sequenza l'intervento del ministro della Difesa Roberta Pinotti, renziana ma con solide radici nell'ex Pci, e del titolare della Giustizia, Andrea Orlando, già Giovane Turco della sinistra Pd.

Insomma, il perimetro degli invitati e dei bene accetti a una delle principali ricorrenze civili del Paese si è progressivamente ristretto, fino a racchiudere quasi esclusivamente sindacalisti o ex-sindacalisti, reduci della lotta partigiana e Dario Fo. In pochi, fra i sindaci e i presidenti di Regione, osano presentarsi in piazza: la maggior parte delle celebrazioni istituzionali si svolge al chiuso, nelle sale dei Comuni. Molti se la cavano deponendo corone all'alba sotto ai monumenti ai caduti e lasciando all'Anpi il compito di spicciare il resto.

Oltre ogni commento moralistico sul deteriorarsi del senso della data, immaginate l'ansia degli staff, delle segretarie e dei portaborse, che devono garantire ai loro capi di esserci ma anche di non farsi troppo male, evitando di apparire in apertura dei Tg sotto il titolo "Tizio fischiato a Bologna" (o a Firenze, Genova, Abbiategrasso, Rimini, eccetera). Molti (lo dico perché lo so) da anni organizzano piccole missioni all'estero per risultare indisponibili ma con una valida scusa. Alcuni si ammalano alla vigilia. Perché il problema del 25 aprile è che "ci si deve essere" ma al tempo stesso "non si è degni di esserci", e questo in qualunque caso: se sei di destra perché non è la festa tua; se sei di sinistra perché hai approvato il Mose, o l'Italicum, o il Jobs Act; se sei di centro perché ti porti dietro il peccato originale della schiatta degli Andreotti e dei Fanfani.

E alla fine, forse torna tutto: chiunque esercita un potere, dai ministri all'ultimo degli assessori, non è degno del 25 aprile perché nell'immaginario collettivo costruito dal rito il 25 aprile è la festa di quelli che hanno preso le armi contro il potere. Contro il potere in generale, non contro quel potere. Scomparsa la generazione dei Pajetta e dei Pertini, che i fucili li imbracciarono davvero, nessuno è all'altezza, nessuno può più soddisfare la folla e il senso che la data conserva per chi va in piazza anziché in gita fuori porta. Forse solo i capi del No Tav o dei Black Bloc, gli ex brigatisti non pentiti, i leader dei centri sociali e gli amici di Hamas potrebbero passare indenni per i palchi, mentre gli altri, quelli che a tirar sassi o imbracciare moschetti non te li immagini nemmeno, dovrebbero riparare su Feste più miti e meno impegnative come il 2 giugno.

E magari finirà davvero così, con un sospiro di sollievo di tutti i forzati del 25 aprile che potranno finalmente smettere di dire "Verrei volentieri, ma partecipo al Forum transalpino di Innsbruck, l'ho promesso da tanto".