carcere grande

Mentre scrivo, dall’inizio dell’anno si sono suicidati in carcere 56 persone, soprattutto tra i 20 e i 30 anni. Nei penitenziari italiani, dal 2000, si sono tolti la vita quasi 1300 detenuti, più di uno su tre di quanti sono morti complessivamente in galera. 

Le condizioni di detenzione (sovraffollamento, edifici fatiscenti, assenza di servizi) e le caratteristiche dei detenuti (moltissimi stranieri, moltissimi con problemi di droga e di marginalità), unite a una sostanziale e reiterata indisponibilità politica a ripensare le modalità di esecuzione della pena e a mettere mano alle normative più tipicamente criminogene (legge sulla droga, in primo luogo), rendono l’inferno delle carceri italiane un dato naturale e strutturale del nostro sistema penale.

La costituzionalizzazione della galera non è mai diventata quella “prepotente urgenza” che il Presidente Napolitano, su sollecitazioni quasi quotidiane di Marco Pannella, aveva intimato oltre dieci anni fa venisse inserita nell’agenda politica e di governo. Quindi malgrado l’impegno di molti di quelli che dentro e attorno al carcere lavorano per renderlo un luogo decente e umanamente conforme alle previsioni costituzionali, la galera rimane una questione rimossa dalla coscienza politica, quando non un feticcio del più demagogico punitivismo tribale.

Quella che segue è la cronaca di una visita a un penitenziario italiano nei giorni di metà agosto, quando le carceri italiane rimangono quanto mai in ombra e le delegazioni del Partito Radicale si recano in visita agli istituti di pena, per alleviare l’isolamento dei detenuti e testimoniare l’attenzione a questo perdurante scandalo della politica.

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Sabato 13 agosto insieme a Nicolò Rinaldi, già eurodeputato e membro della segreteria del Partito Radicale, all’avvocato Massimo Rossi, allo studente di Economia Damien Heller e all’avvocata kazaka Botagoz Jardemalie abbiamo visitato il carcere di Sollicciano.

Il carcere di Sollicciano è immenso e con corridoi stretti e lunghi. Solo a percorrerli, suscitano ansia, senso di oppressione e tristezza. Si immagini, per un attimo, le persone che lavorano a Sollicciano, costrette a percorrere più volte al giorno questi corridoi. Oppure, si immagini una persona che entra per la prima volta in carcere, una persona che forse risulterà innocente e che percorre questi lunghi corridoi per passare da un ufficio all’altro e per essere immatricolato.

Il carcere di Sollicciano è un edificio fatiscente, che avrebbe decisamente bisogno di essere rinnovato e di avere una seconda vita, per potere davvero ospitare persone a cui si vuole dare una seconda possibilità.

Ci sono topi e cimici e sono impossibili, a quanto pare, da eliminare. Le docce e i bagni sarebbero considerati “fuori norma” in qualunque struttura civile: dalle scuole, agli ospedali, ai luoghi di lavoro.

Se la pena è essere privati della libertà, non dovrebbe esserci l’aggiunta della privazione della dignità. E questo è un problema che non riguarda solo i detenuti, ma anche i “detenenti”, come li chiamava Marco Pannella (personale amministrativo, agenti di custodia, educatori, sanitari...)

Siamo entrati nel carcere alle ore 10.00 e siamo usciti alle ore 15.00, accompagnati dai funzionari incaricati di scortarci durante la visita. È stato importante essere accompagnati da persone preparate, che hanno risposto alle nostre domande in modo esauriente e che sembrano svolgere il proprio lavoro con umanità e competenza.

I problemi di questa struttura sono numerosi e gravi.

Ci sono 577 detenuti, di cui 46 donne. La capienza regolamentare è di 555 detenuti, ma un’intera sezione femminile è chiusa per manutenzione straordinaria. Quindi in questo momento la capienza regolamentare è di 555-40=510.

Il 70% dei detenuti sono stranieri: la maggior parte provengono dal Magreb e quindi parlano bene italiano. In quest'ultimo periodo si è registrato purtroppo un nuovo fenomeno: ci sono circa 50 detenuti che provengono dal Niger e dalle zone vicine, che non parlano l’italiano. Si immagini cosa ciò significa per i detenuti e per le persone che lavorano nel carcere. Tutto risulta ancora più difficile.

È purtroppo prevedibile che immigrati irregolari siano più facilmente reclutati in attività irregolari o illegali. Non è scontato che, nel loro caso, l’unica alternativa alla manovalanza criminale sia la galera, a maggior ragione per reati di piccolo spaccio di droga.

Il numero degli agenti penitenziari non è molto lontano da quello regolamentare, ma risulta sicuramente insufficiente. In questo penitenziario le celle sono aperte, quindi il lavoro è maggiore e più gravoso anche dal punto di vista psicologico. Sono in aumento il numero di stranieri che non parlano italiano e la “cultura dell’autolesionismo” è sempre più diffusa. Inoltre, in carcere si produce alcool con tutto quello che capita, compresa l’erba raccolta nei campi e circolano illegalmente droga e psicofarmaci.

Ci sono 4 educatori per 577 detenuti. Inutile discutere su quanto possano servire, malgrado l’impegno.

Altra questione grave è il lavoro. Solo 155 detenuti lavorano all’interno del carcere. I turni sono a rotazione: il che significa che un detenuto lavora in media un mese ogni tre. Solo 4 detenuti lavorano fuori dal carcere.

Anche questo dimostra che vi è ben poco collegamento del carcere con il mondo esterno. Ma chi esce senza appoggi all’esterno, rientra dentro con maggiore probabilità. Un uso molto inefficiente delle risorse.

Viene da pensare che sarebbe opportuno che le scuole organizzassero delle gite di istruzione in carcere. C’è da tanto da imparare, sugli errori da non commettere nella vita civile. E non sono solo i detenuti a rappresentare il “modello negativo”, ma anche la galera che li ospita.

Abbiamo poi fatto una piccola riunione con una rappresentanza dei detenuti. Erano presenti un rappresentante per ciascuna sezione.

Tutti hanno denunciato problemi con la magistratura di sorveglianza, per i ritardi e l’inadeguatezza dei riscontri alle richieste.
È inoltre emersa una problematica comune anche a altri istituti, cioè la presenza di detenuti infermi di mente, che dovrebbero essere ospitati in strutture diverse (le Rems

Durante la riunione, le detenute hanno “lamentato” la convivenza con un detenuto che avrebbe dovuto cambiare sesso ma ha interrotto il processo di transizione. Ha già aggredito due infermiere e le detenute vivono con forte disagio questa situazione e hanno fatto numerosi appelli, per il momento caduti nel silenzio.

Sono uscita da Sollicciano convinta di non avere visto nulla di molto peggio o di molto meglio di ciò che succede in tutte le prigioni italiane e sempre più convinta che la brutalità della galera non ha solo a che fare con le persone che ospita, ma con i meccanismi che ingenera e con il tradimento della sua funzione costituzionale.