mila grande

La vicenda di Mila è davvero interessante, perché riflette le più importanti tematiche della convivenza civile in Occidente. In questi giorni si trova nelle librerie una apprezzabile autobiografia intellettuale di Vargas Llosa, premio Nobel liberale e liberista (caso raro) dal titolo “Il richiamo della tribù”. 

La tesi centrale è molto semplice: il liberalismo rappresenta lo strumento più avanzato per difenderci dall’inestinguibile richiamo della tribù. Quello a cui stanno assistendo i francesi è un attacco di tribù contro un individuo, che ha offeso un totem della tribù stessa (il Corano e la religione). Mila, che ha 16 anni, ha utilizzato insulti, pratica per niente costruttiva, ma ha insultato un libro e un sistema di credenze. Se avesse utilizzato le stesse parole contro il Capitale di Marx e il comunismo, la sua vita non sarebbe cambiata per sempre come invece è accaduto. Dunque concentrarci sulla condotta incauta della ragazza non coglie il punto.

Se utilizziamo nei confronti delle religioni un approccio diverso da quello che avremmo per ogni altra manifestazione della libertà del pensiero non facciamo un servizio ai valori liberali. Se aspettiamo che le armi vengano effettivamente imbracciate dalle tribù per dire #JeSuisMila significa che non abbiamo capito nulla di episodi precedenti. E i distinguo sugli errori della ragazza non valgono più di quelli sulle vignette di Charlie, che pure potevano far schifo.

Nondimeno le tribù esistono, e dobbiamo farci i conti. L’impressione è che la prudenza di alcuni rappresentanti delle istituzioni nella difesa della ragazza nasca dalla consapevolezza che molti ambienti sono polveriere, che potrebbero esplodere al primo fiammifero. E ricordo peraltro benissimo il tenore delle reazioni di molti italiani quando Charlie Hebdo pubblicò vignette (particolarmente brutte) sui morti italiani del terremoto. Anche in quel caso fu colpito un totem e questo scatenò il tribalismo nazionalista: non pochi rievocarono con toni simpatetici l’attentato, proprio come tanti musulmani della “zona grigia” avevano fatto a loro tempo. L’eco fu talmente forte che perfino dopo l’incendio di Notre Dame molti rievocarono quelle vignette come a dire che “ai francesi” ben gli stesse. Non si può dimenticare che pure da Papa Francesco arrivò un commento fra i più sconvenienti dei grandi leader politici: “Se un mio amico insulta mia madre gli arriva un pugno. È normale”. Nella sua ingenuità un esempio perfettamente rappresentativo: la mamma, la nazione, la religione.

Ma proprio perché il tribalismo è naturale abbiamo bisogno di regole civili, istituzioni e anche un dibattito pubblico ragionevolmente orientato per difenderci dal tribalismo stesso. E questo, ed è il dato importante, perfino prescindendo da “torti” e “ragioni”. Al di là degli insulti o della blasfemia il tribalismo può scatenarsi allo stesso modo anche contro il peggiore dei criminali, con umanissimi sentimenti di vendetta: e anche in quel caso abbiamo bisogno di una rete di regole e garanzie perché la pena “non si trasformi nella violenza di uno o di molti contro un privato cittadino”, per utilizzare l’insuperabile formula di Beccaria.

Per questo #JeSuisMila ha lo stesso valore di #JeSuisCharlie.