«La force qui fait le plus de fois le tour de la terre en une seconde, ce n'est pas l'électricité, c'est la douleur». Così quel genio della frase elaborata, sofisticata, come solo un Parigino di Auteuil può essere – Marcel Proust – in Albertine Disparue.

charlie hebdo republique

Sono molto sofisticati i miei concittadini. Per chi si scontra, per la prima volta, con questa città densa, ma così dispersiva nei suoi rapporti umani spesso evanescenti e resi superficiali dalla grandezza dell'area metropolitana – ricordiamo, siamo in quattordici milioni – Parigi può essere dura. Il Parigino non ha il calore umano dell'Italiano, indubbio merito di un popolo che, però, dietro l'accoglienza spesso espansiva nasconde altre indifferenze, più sottili. Ci si scontra spesso con l'indifferenza a Parigi. Appena giunto qui, per questioni di lavoro, ancora giovane, la trovavo così estranea, così impenetrabile. Ora che ho un figlio nato nel XIV Arrondissement, un nano Parigino con la erre moscia, sento che l'estraneità è diventata compartecipazione, ansia, preoccupazione, per queste persone, giovani, uomini, donne, ma soprattutto bimbi, che giornalmente affollano i boulevards e i cafés della Ville Lumière.

Parlo della erre moscia di mio figlio in un momento tragico, di lutto nazionale per i Francesi e tutti gli uomini liberi. Un commando armato ha ieri ucciso dodici persone, spari anche stamattina, fra le strade della città sospesa in un clima irreale di guerra. Sembra un videogioco, uno di quelli con cui pare si addestrino anche i giovani militanti dell'Isis, che si sospetta siano i responsabili della strage. Tecnologia e follia omicida da barbari del XXI secolo. Eppure è a lui, a mio figlio, e a tutti i bambini della sua scuola che è andato il pensiero, immediatamente dopo aver appreso la notizia del massacro, da più parti ritenuto come inevitabile, ma che quando colpisce i luoghi della tua vita, dove tu lavori, dove i tuoi cari vivono, come poter dire "sì, me lo aspettavo"? Puoi essere razionale quanto vuoi, puoi anche vantarti di sapere cosa sia una probabilità condizionata, ma il cuore è più forte della ragione, quando hai figli.

Ebbene, no, io non me lo aspettavo. Educato da sempre dai miei genitori alla tolleranza, cresciuto libero fra liberi, non credevo fosse possibile che una vignetta satirica potesse mai diventare una condanna a morte per ragioni pseudoreligiose. "Vous allez payer, car vous avez insulté le Prophète!" avrebbero urlato, secondo le ultime ricostruzioni, i due assassini. Ma che profeta, se non di disgrazia? Quale profetismo inneggia alla morte di innocenti, per di più perpetrata a sangue freddo? Li devi veder morire in faccia, le tue vittime sacrificali. È una morte mostruosa, inumana. Charlie Hebdo, mi raccontava un mio collega, è un'istituzione per i Parigini della sua generazione, cresciuti con irriverenza e quella sana - almeno a mio avviso - dose di cinismo, verso tutto e tutti. Un settimanale satirico pungente, come in Italia non esiste, paese abituato più alla carezza, mai al contropelo.

E invece sono cazzuti, e con la schiena dritta, i Parigini. Il loro humour è l'humour di Charlie. Ora è divenuto noto a tutti, forse non da tutti apprezzato, come anche le polemiche fra testate francesi e alcune americane e inglesi, più accorte verso la sensibilità del politicamente corretto, tendono a suggerire. Eppure è Parigino al midollo. Va rispettato come in Italia si rispetterebbe qualsiasi tradizione culinaria regionale. Come Parigini fino al midollo sono i primi sospettati ancora in fuga nel momento in cui scrivo, e che come molti altri immigrati di seconda o terza generazione sono stati attirati dalla sirena della Jihad in Siria. Sui giornali francesi si parla di 500/1200 ragazzi francesi partiti per combattere fra le fila dell'Isis. Una cifra paurosa. Cosa ricercano, in una guerra che tutte le persone di buon senso ritengono persa in partenza, una guerra medioevale che non distingue fra seguaci di Cristo o di Allah, o fra atei - come molti dei poveri giornalisti orrendamente trucidati - e religiosi?

È con queste emozioni contrastanti che nel pomeriggio, plumbeo come il cielo di Parigi, ho appreso dei rassemblements spontanei in tutte le città di Francia, capitale inclusa. E mi sono dunque avviato, camminando nel freddo di Gennaio, fra le vie del centro, dall'abazia di Cluny, fino a Notre-Dame, bastioni del passato cristiano; una breve sosta al Marais, dal mio take-away ebreo preferito, quartiere chich e dal nome evocativo - palude - che ne ricorda le origini medioevali, di fianco alla Senna che un tempo qui stagnava laddove ora coppie di ragazzi, coppie di gay, lesbiche, passano serate serene con i loro amici.

Città multi-etnica Parigi, non dimentichiamolo. Città libera. E poi via verso Place de la République, dove sapevo che una folla di almeno 35 mila persone, secondo la prefettura, si stava radunando per gridare nel silenzio la propria indignazione verso questa barbarie. Il silenzio della folla, poi rotto dai canti di un gruppo di giovani con i loro cartelli a favore di Charlie, abbarbicati alla statua enorme della Marianna, simbolo della Repubblica laica Francese, che lì si erge con ai suoi pedi la Libertà, l'Eguaglianza, la Fraternità, parole universali di una rivoluzione nota in ogni angolo del mondo.

La libertà, soprattutto, così importante per le nostre società, eppure così fragile, in balia di onde ebbre di follia. Come difenderla, senza stravolgere il concetto stesso di stato di diritto, e allo stesso tempo evitare che dei giovani Jihadisti, noti alle autorità, non scatenino una guerriglia armata nella città che ha dato loro la luce! La libertà ha un costo, anche in termini di paure e terrori da sopportare. Umanamente, capisco chi colto dal terrore invochi pene esemplari, o misure al limite dello stato di polizia. Ma la grande lezione che questi giorni ci lasciano è che in democrazia la libertà ha un costo, e la paura è un rischio con cui convivere, per quanto duro. Lo sappiamo bene noi Italiani, almeno quelli che, come me, hanno memoria storica, colpiti più volte da stragi, mai realmente comprese, e dal terrorismo rosso degli anni settanta e ottanta.

Scosso da una giornata di dolore, è il canto della Marsigliese che mi ha aperto gli occhi. Questi ragazzi, questi uomini, donne, tutti stretti alla loro Marianna, a cantare l'inno della loro nazione. Per un Italiano come me è stato molto toccante. Non so realmente se un tale spirito di unità potrebbe mai animarci, oggigiorno. Questa spirito unitario racchiuso nel Rassemble nous!, così tante volte ascoltato in tv nelle bocche dei politici francesi di ogni famiglia politica. Suonava vuoto alle mie orecchie, prima di ieri. Poi, il Presidente Hollande ha usato la più alta retorica repubblicana in questo momento difficile, duro, come sola la realtà alcune volte sa essere.

Un Presidente non amato, in una situazione economica difficile, con la disoccupazione al 10%, il quintuplo per i giovani che vivono nelle banlieus parigine, in cui jihadisti fanno proseliti, E dalla République il mio pensiero è andato a Noisy-le-Sec, a La Courneuve, a tutte le altre periferie cementificate che ho visitato, visto coi miei occhi: e che ho imparato ad odiare. Le odio perché riempiono quella parola nobile, non negoziabile – libertà – di un senso di vuotezza formale. Cosa è la libertà, se la politica da anni permette che giovani, uguali a quelli di Place de la République vivano il dramma sociale dell'esclusione, del razzismo strisciante? Fatevi un giro negli inferni parigini, magari dopo aver visitato il Musée d'Orsay.

Cosa potrà mai significare libertà per i ragazzi che vivono in luoghi dove chi viene al mondo ha di fatto possibilità di successo divise per cinque? Nulla, nulla può spiegare la follia omicida di Charlie. Ma gli uomini onesti, di buona volontà, non possono ritenere che vi sia un futuro di pace e libertà senza interrogare le proprie coscienze sulle colpe delle politiche pubbliche che sono concausa di tali disastri sociali, dove giovani senza lavoro sono indottrinati da imam estremisti, spesso finanziati dai nostri stessi alleati in Medioriente, come lo scrittore egiziano 'Ala al-Aswani ha ben ricordato sul Corriere.

Vi era una giostra di cavalli per bambini, anche ieri sera, in Place de la République. Era contornata da un recinto metallico, per evitare che la folla della piazza la danneggiasse involontariamente. Un segno di rispetto per i bambini di questa città ferita, ma non doma, se solo potesse finalmente fronteggiare le sue mille contraddizioni irrisolte. Di queste giostre tappezziamo tutta la città, tutte le periferie. E diamo scuole dignitose, maestri capaci, opportunità di successo, insegnamenti di vita: non di morte. È questa la libertà che sogno per la mia Parigi. E in queste ore in cui il dolore ha fatto il giro del mondo non so quante volte, a una velocità superiore a quella dell'elettricità, caro Proust, in queste ore di una città ferita, on se rassemble, nel dolore di tutti.