Fin dalla sua comparsa, l'autoproclamatosi Stato Islamico di Iraq e Siria si è sempre avvalso di filmati per propagandare le proprie azioni e – in una sorta di escalation del terrore – un video diffuso il 2 febbraio mostra Mu'ath Al-Kasaesbeh, ventiseienne pilota dell'Aeronautica Militare Giordana mentre, chiuso in una gabbia, viene arso vivo.

Pilota ISIS

Inevitabilmente, davanti a tanto orrore, si è riaccesa la diatriba relativa all'opportunità o meno di diffondere le immagini di morte che il Califfato non si risparmia di fornire al mondo: da una parte chi sostiene che la crudezza di certe azioni andrebbe mostrata, dall'altra chi ritiene che la censura sia preferibile, per evitare di fare propaganda gratuita allo Stato Islamico.

È quasi superfluo chiarire quale sia l'obiettivo a cui mirano gli jihadisti: terrorizzare il mondo mostrando con tecniche degne di una produzione hollywoodiana la loro efferatezza e facendo capire che chiunque tenti di sbarrare loro la strada subirà la stessa sorte.

Ma esiste anche un altro pericolo legato alla diffusione dei loro video, un pericolo molto più sottile e per questo molto più insidioso: quello che paesi fondati su principi liberali e democratici reagiscano applicando la legge del taglione, andando a giocare sul campo in cui ISIS vuole che si giochi.

A cadere nel tranello nel modo più eclatante è stata proprio la Giordania, che ha deciso di giustiziare due terroristi – Sajida Al-Rishawi, convolta in una strage che provocò sessanta morti ad Amman nel 2005, e Ziad Al-Karbouli, condannato nel 2007 per aver pianificato diversi attentati – la cui liberazione era stata chiesta in una trattativa-bluff dallo Stato Islamico come riscatto per il rilascio di Kasaesbeh, quando ancora non si sapeva della sua morte.

Due esecuzioni che, valutate a mente fredda, hanno il sapore di una vendetta compiuta sull'onda emozionale generata dalla visione degli ultimi atroci istanti di vita del tenente giordano, e che rischiano di sdoganare l'uso della pena di morte come strumento per mostrare i muscoli all'avversario.

Tutto ciò sembrerebbe avallare le posizioni di chi sostiene che le immagini delle barbarie compiute dal Califfato debbano essere il più possibile tenute nascoste. Invece, paradossalmente, proprio le armi che gli jihadisti vorrebbero usare per annichilirci, se usate in modo intelligente da parte degli organi di informazione, potrebbero essere usate contro di loro.

Per capire questo punto di vista bisogna innanzitutto prendere atto che, in un mondo dell'informazione sempre più globalizzato, la censura non riesce più ad esercitare quella che sarebbe la sua funzione, per cui basta un minimo di dimestichezza con Internet e chi vuole vedere quei video, pur non trovandoli sui media tradizionali, riuscirà a vederli in ogni caso. E - in un'epoca in cui la difficoltà non sta tanto nel reperimento delle informazioni, quanto nel saper conferire le giuste autorevolezza e serietà a chi le diffonde – il rischio insito in ciò è finire su piattaforme che si limitano a diffondere i filmati, senza curarsi minimamente di "guidare" lo spettatore attraverso la visione di immagini oggettivamente molto forti.

Questo porta inevitabilmente i siti in questione a fungere da semplice cassa di risonanza per la propaganda alle azioni dell'ISIS, alimentando, attraverso lo sdegno rabbioso di chi vede i filmati, gli atteggiamenti di diffidenza ed odio reciproci che – nel caso a qualcuno non fosse chiaro – sono lo scopo a cui il Califfato punta, nel suo tentativo di portare il mondo allo scontro di civiltà.

Dall'altra parte invece, il tenere le maglie della censura così strette rende decisamente difficile a chi si informa unicamente attraverso media tradizionali capire quali atti ignobili si stiano compiendo tra Siria ed Iraq, falsando la percezione delle notizie, recepite alla stregua di una favoletta macabra o poco più. Un conto è leggere che una persona è stata bruciata viva, un altro è vedere le immagini in cui la persona in questione muore tra le fiamme.

Si rischia quindi di non comprendere appieno la gravità della situazione mediorientale, con il risultato di vedere un eventuale serio intervento militare da parte dei paesi occidentali come nient'altro che un'inopportuna ingerenza in questioni che riguarderebbero esclusivamente le nazioni coinvolte, o – al meglio – come un inutile spreco di denaro pubblico: atteggiamento altrettanto sbagliato, perché dobbiamo capire che libertà, democrazia, giustizia sono valori che non vanno mai dati per scontati, ma che devono invece essere coltivati ogni giorno.

Risulta quindi chiaro come sia la diffusione irresponsabile dei video che il loro totale oscuramento portino ad un'unica conseguenza: non vengono dati ai destinatari dell'informazione i presupposti per crearsi gli anticorpi necessari a poter affrontare in maniera equilibrata il fenomeno ISIS.

Ed è proprio in questa mancanza di anticorpi che si crea il terreno fertile per strumentalizzazioni di dubbio gusto, come ad esempio un manifesto politico pubblicato online pochi giorni fa che, con un'acrobazia logica degna di un trapezista, si è avvalso delle immagini del pilota in fiamme per attaccare il governo.

Bisogna invece lottare con tutte le armi a nostra disposizione per creare una reale consapevolezza riguardo all'ISIS e a cosa le sue azioni rappresentino: una consapevolezza razionale, che non porti a reazioni spropositate basate sull'emotività, ma che crei un'indignazione composta in grado di farci restare vigili nella difesa dei nostri valori.

E non si deve commettere l'errore di pensare che sia impossibile portare le persone a questo grado di consapevolezza, perché sarebbe proprio questo a porre le basi per la vittoria non solo del Califfato, ma di chiunque voglia annientarci.