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Sulla faccenda glifosate l’Italia si è mossa con grande rapidità. Il primo obiettivo è sembrato da subito quello di apparire come i primi della classe, i più intransigenti, quelli che mettono la tutela del consumatore e dell’ambiente al primo posto. Ma è davvero così?

Proviamo a riflettere su quali potrebbero essere le conseguenze dell’eliminazione di questo principio attivo. Innanzi tutto il glifosate viene utilizzato per la pulizia di binari, strade e autostrade, spazi pubblici, aree archeologiche. Come si prevede di sostituirlo? Per una parte si potrà fare con attrezzature meccaniche specifiche, ma non è possibile ovunque. E’ lecito chiedersi se siano stati valutati l’aumento di costi e l’efficacia delle alternative prima di lanciarsi in una proibizione che, vedremo, non era proprio necessaria.

Venendo all’agricoltura italiana, gli agricoltori utilizzano il glifosate per la pulizia del letto di semina. Significa che prima di seminare si diserba il terreno dalle malerbe che, se non eliminate, competono con il raccolto per le risorse: acqua, luce e nutrimento. Se non controlliamo lo sviluppo delle piante infestanti produciamo di meno, il prodotto è di qualità peggiore e alla fine viene a costare di più al consumatore finale perché più scarso. Questo significa anche che le nostre colture il glifosate non lo vedono nemmeno, perché vengono seminate dopo il trattamento.

Ci sono alternative? Sì. L’agricoltore può usare altri prodotti diserbanti, ma hanno generalmente un impatto ambientale maggiore e sono più costosi. Il brevetto sul glifosate è scaduto da anni, questo lo rende economico e accessibile: è più competitivo di altri prodotti. Questo significa allora - come spesso si dice - che ne usiamo più del necessario, visto che costa poco? No. Noi agricoltori abbiamo una forte coscienza ambientale: in quell’ambiente ci lavoriamo, spesso ci viviamo. L’ambiente è il nostro primo fattore di produzione, sappiamo bene di doverlo rispettare. Per di più, i margini operativi dell’attività agricola sono talmente esigui che cerchiamo il risparmio e l’efficienza in ogni singola operazione colturale. Inoltre i principi attivi a disposizione dell’agricoltore continuano a diminuire: la rosa di sostanze utilizzabili si restringe sempre di più. Ciò comporta un aumento della probabilità di insorgenza di resistenze nelle infestanti, che diventano difficili da controllare.

Certo, possiamo estirpare le malerbe con interventi di tipo meccanico. Questo però significa lavorare il terreno in profondità, cosa che provoca maggiori emissioni di CO2, maggiore erosione del suolo, maggior consumo di sostanza organica. Tutte cose che l’Unione Europea sta cercando di ridurre. Un terreno non lavorato, inoltre, trattiene meglio l’acqua e aumenta la capacità di stoccaggio del carbonio. Per questi motivi sono state pensate le misure agroambientali note come "agricoltura conservativa" o "Agricoltura Blu": si tratta di ridurre al minimo o eliminare del tutto la lavorazione del suolo, con lo scopo di ridurre le emissioni in atmosfera e aumentare nel tempo la fertilità del terreno. Sono pratiche complesse, richiedono grande professionalità nell’imprenditore che le pratica; molta ricerca è stata spesa in questa direzione. Pensare di controllare le malerbe senza glifosate in Agricoltura Blu è davvero difficile. Vietarne l’utilizzo significa assestare un colpo mortale a programmi che hanno visto un grande investimento di ricerca e di denaro pubblico e privato negli ultimi anni, programmi nati con valenze e motivazioni essenzialmente di protezione ambientale. Un vero controsenso.

Insomma, l’uso del glifosate mette a disposizione cibo sicuro a prezzi accessibili, consente l’applicazione di pratiche colturali conservative, riduce gli interventi diserbanti e nel complesso ha perciò un impatto ambientale inferiore ad altre pratiche. Quindi la posizione del governo italiano sul glifosate, con un voto contrario al suo rinnovo in sede europea, finirà con l’avere conseguenze negative sull’ambiente non trascurabili, affossare le misure di agricoltura conservativa, mettere le aziende agricole in condizione di inferiorità competitiva rispetto ai concorrenti di altri Paesi.

Ma la cosa più grave è che questo controsenso non ha motivo di esistere. IARC è l’unica Agenzia ad aver deciso per una classificazione di pericolosità per questa molecola, inserendola nella categoria dei “probabili cancerogeni”, insieme a carne rossa, mate (se sopra i 65°C) e fumi di frittura, fra gli altri. Bisogna capire però come funziona il processo di valutazione di IARC, che non tiene conto del rischio, motivo per cui non ci preoccupiamo di mangiare con una certa frequenza costate e arrosti. Va anche detto che IARC, a differenza delle altre Agenzie, non ha preso in considerazione tutti gli studi a disposizione.

Andrebbe infine considerato e adeguatamente valutato nel raccontare la terribile parabola discendente di questo diserbante altrimenti molto fortunato, che il consulente esterno speciale del gruppo glifosate dello IARC, Christopher Portier, firmava negli stessi giorni in cui lavorava per IARC un ricco contratto con due studi legali che stavano preparando una azione contro Monsanto. Un grave conflitto di interessi, che mina la credibilità della sua consulenza all’Agenzia, considerando anche che Portier, per sua stessa ammissione, non aveva alcuna esperienza sul glifosate.

Il prodotto è stato sottoposto a controllo da diversi enti e agenzie e tutte, tranne una, lo hanno giudicato sicuro: Efsa nel 2015 e ancora nel settembre scorso, quando ha concluso che non esistono prove che il glifosate sia un interferente endocrino; FAO e OMS nel 2016 lo hanno giudicato non cancerogeno sulla base della letteratura scientifica a disposizione; ECHA, l’agenzia Europea per le Sostanze Chimiche, è giunta alle stesse conclusioni nel 2017. E relativamente al sospetto che il glifosate possa causare il linfoma non-Hodgkin va perlomeno osservato che secondo dati dello statunitense National Cancer Institute dell’NIH il numero di nuovi casi di linfoma negli USA è stabile negli ultimi 10 anni, nonostante l’utilizzo di glifosate sia aumentato di 2,5 volte nello stesso periodo.

Ora però la politica decide, dopo averle interpellate, di non tenere in considerazione il parere di queste Agenzie. Il Ministro Martina ha scritto di aver deciso di votare no alla proposta della Commissione Europea seguendo il parere della scienza. Ma non è così: il parere era esattamente opposto. E’ un comportamento grave e pericoloso. Grave perché scredita il lavoro di Agenzie che sono al nostro servizio, che paghiamo noi cittadini europei; pericoloso perché avrà conseguenze anche in altri ambiti. Se si screditano le Agenzie europee, se si prendono decisioni non basate su evidenze scientifiche, si mina l’intero impianto normativo: chi può prevedere a cosa porterà un comportamento così irresponsabile?

Se la politica dà ad intendere che delle Agenzie che sono al nostro servizio non ci si può fidare, di chi si fideranno i cittadini? Il processo di valutazione è stato rigoroso e ha tenuto conto del rischio effettivo per operatori, consumatori e ambiente. Il sistema europeo di autorizzazione e controllo dei fitofarmaci è il più severo al mondo, pertanto se la Commissione Europea propone un rinnovo dell’autorizzazione per 10 anni il prodotto è da considerarsi sicuro.