L’affaire Giambruno-Meloni andrebbe letto – non per riguardo, ma per intelligenza delle cose e delle situazioni – fuori dalla vicenda “privata” dei suoi protagonisti.

Il rispetto richiesto dalla Presidente del Consiglio, le allusioni al complotto dei poteri forti e il silenzio opposto alla richiesta di spiegazioni – non del comportamento di Giambruno, ma della sua decisione di mollarlo in quel momento e in quel modo, obbedendo alla piazza informativamente qualunquista di Striscia, come la sua politica obbedisce alla piazza politicamente qualunquista del “nemico nell’ombra” – è una manfrina non degna di rispetto e neppure di silenzio, visto che di tutta questa vicenda a rilevare sono gli elementi pubblici e politici, non certo quelli privati e sentimentali.

Non è “privato” che il compagno di Giorgia Meloni sia diventato un anchorman delle reti Mediaset in contemporanea con l’ascesa a Palazzo Chigi dell’underdog della Garbatella.

Non è “privato” che il partito alleato di Forza Italia, della stessa proprietà della tv alleata Mediaset, sia stato umiliato – Berlusconi vivente – dalla premier dichiaratamente non ricattabile e abbia poi trovato un giullare di corte – Antonio Ricci – pronto a vendicare l’affronto e a illuminare la ricattabilità di Meloni, con la motivazione umoristica dell’eccesso di credito, anzi della “beatificazione” riservata al first gentleman Giambruno da un altro mattatore del Gruppo di famiglia, il direttore di Chi, Alfonso Signorini.

Non è “privato” che la Presidente del Consiglio, devota alla famiglia tradizionale e alla confusione tra la famiglia anagrafica e politica (il compagno in Tv, la sorella al Partito, il cognato al Governo), abbia liquidato l’intruso Giambruno – mai sposato chissà perché, vista l'inclinazione cristianamente tradizionalista – come un ramo secco o marcio della propria strategia d’immagine, il giorno dopo che un fuorionda l’aveva mostrato comportarsi da scemo a telecamere (teoricamente) spente, in un tv che fa da decenni il picco degli ascolti proprio sui fuorionda.

Non è “privato” partecipare, come ha fatto Meloni, con un post social bambinista e recriminatorio alla gogna della piazza televisiva di Ricci contro il porco maschilista che si tocca il pacco e fa il provolone con la collega e obbedire alle regole mediatico-giudiziarie dell’intercettateci tutti, dichiarandosene però vittima offesa e risentita.

Come in ogni dossieraggio che si rispetti, anche in questo caso se è chiara la vittima (Giambruno) non ne sono chiari né i committenti, né i beneficiari e solo gli allocchi possono credere alla libertà di informazione di Striscia la notizia come origine e ragione dello scandalo. Ma in questo caso, come in molti altri – come dimenticare le campagne (in)civili de Le Iene? – lo specifico è rappresentato dal mezzo, più che dalla spiata. Non una (finta) inchiesta giornalistica, ma uno spettacolo di varietà televisivo trasformato nell’oracolo del bene e del male, nella voce della coscienza e dell’innocenza dell’Italia profonda.

L’informazione del Gabibbo è il corollario necessario della democrazia del Gabibbo, della pretesa di scoprire quel che non va, quel che non funziona, quel che ci fa soffrire con un esercizio di indignata buffoneria e di ricattatorio moralismo e quindi di rimediarvi con un calcione liberatorio, con una pernacchia, con una presa per il culo a reti unificate.

In questa forma orgiastico-voyeuristica, oltre che in quella del forsennato retequattrismo cospiratorio, Mediaset ha degradato insieme l’informazione e la politica italiana e Giorgia Meloni non è certo la vittima, ma, anche senza Giambruno, l’utilizzatrice pro tempore di questo degrado e della prevalenza culturale e civile del Gabibbo.