L’autodifesa suicida di Fassino sullo “stipendio dei parlamentari” è stata sì un errore, ma anche un tributo tutto sommato coerente al primato dell’antipolitica: del tutto simile a quello che nella scorsa legislatura – Fassino presente – l’intero Parlamento, dall’estrema destra all’estrema sinistra, con eccezioni rarissime (+Europa e Azione), rese alla ghigliottina “taglia-poltrone”, cioè a una mutilazione del Parlamento da anonima sequestri, che il M5S pretese da tutti i suoi alleati come pegno d’amore e di fedeltà e come prezzo per la prosecuzione della legislatura.

Nel leggere la capitolazione della politica all’antipolitica si fa normalmente l’errore di interpretare la prima come il “vecchio sistema” dei partiti, e la seconda come il “nuovo sistema” dell’antipartito universale e il passaggio dall’una all’altra come una sorta di traumatico e obbligato regime change.

Al contrario l’antipolitica, almeno dai tempi di Mani Pulite, che ne furono un formidabile incubatore, è quel principio di equivalenza tra la democrazia e il malaffare e tra la rappresentanza e l’usurpazione politica, che proprio il sistema dei partiti adottò come strategia trasformistica di sopravvivenza, dopo il collasso della Prima Repubblica.

Diciamo che, approssimativamente, il Palazzo si consegnò alla Piazza in tumulto (non all’agorà dei cittadini) nella speranza, tanto vana quanto disonesta, di confondersi in essa e di poterla infine manovrare a proprio vantaggio. Ci provarono i comunisti, ci provarono i fascisti, non ci provarono neppure, perché erano già morti, i partiti che dal ’48 al ‘92 avevano governato l’Italia, e alla fine ci riuscì il naturaliter antipolitico Berlusconi.

Il M5S, con la distopia dell’autogoverno digitale di massa e della democrazia totale, non ha ribaltato, ma radicalizzato, in modo ancora più trasformistico e assoluto, la retorica anti-Casta e ha fatto esplodere il potenziale nichilista del “voto contro” – contro tutto e il contrario di tutto, senza nessun vincolo di coerenza o non contraddizione – in tutta la sua geometrica potenza di fuoco, come si potrebbe dire usando, in modo tutt’altro che impertinente, il gergo para-terrorista.

Ma il punto di partenza e di ritorno dei circoli viziosi antipolitici (non solo grillini) è appunto che, essendo la politica istituzionale (quella dei partiti e dei parlamenti e dei deputati, senatori, funzionari e “portaborse”) un male in sé, cioè un potere parassitario, la sua progressiva minimizzazione deve preludere alla sua sostituzione con un potere di diverso, ma non nuovo conio. Quello dei salvatori politici, degli sciamani, dei venditori di miracoli, e degli uomini forti al balcone, che non hanno bisogno di nulla e di nessuno, perché sono uniti con i cittadini nel corpo mistico della volontà generale.

Gli stipendi e i vitalizi dei parlamentari – in questo quadro – non sono mai troppo bassi, perché concettualmente sono sempre di troppo, non servendo i parlamentari a niente, se non a raschiare dal barile delle istituzioni le briciole del privilegio.
Ovviamente questo bolo di pensiero fascista lungamente ruminato dalla politica democratica ha portato, come era inevitabile, all’idealizzazione – nei partiti come nelle istituzioni – di modelli plebiscitari e personalistici e della disintermediazione in sé – nell’organizzazione e nel pensiero – come liberazione dalla schiavitù e libertà in purezza. La liberazione dei pazzi, la libertà delle scimmie.

Pensare di potere stare nel mainstream antipolitico della democrazia no cost facendo valere una riserva di onestà e ragionevolezza non è ingenuità, bensì mala fede. Pretendere di spiegare che per un deputato una indennità base che non supera di molto quella di un commesso di Montecitorio non può considerarsi uno stipendio d’oro è possibile e, aggiungerei, legittimo, solo per chi ha avuto il coraggio di denunciare nel populismo antipolitico l’ennesima manifestazione dell’eterno fascismo italiano, non per gli antipolitici di complemento e i volenterosi compagni di merende dei grillini nella sempiterna lotta trasformistica alla mala politica.