Europa grande

C'è un elefante in ogni stanza in cui continuano a riunirsi i leader europei (ma il. discorso va allargato all'Occidente intero), e il suo barrito è sempre più minaccioso: eppure non c'è uno solo tra loro che voglia prenderne atto e agire di conseguenza.

L'ingresso di nuovi membri nella NATO; l'invio di nuove tipologie di armamenti in Ucraina, e l'adozione di nuove sanzioni; il finanziamento di nuovi investimenti pubblici per trasformare le economie garantendone sviluppo sostenibile; il ruolo delle grandi società digitali nella formazione delle opinioni pubbliche; la gestione di crisi globali, che includono il cambiamento climatico, i flussi di migranti, il fondamentalismo religioso e molte guerre regionali; la rinascita di pericolosi nazionalismi, in grado di portare con ogni elezione caos e sfilacciamenti all'interno delle alleanze tra le democrazie... sono tutti problemi urgenti e attuali, accomunati dalla nostra incapacità di riconoscere il limite strutturale che ci siamo imposti nell'affrontare le possibili soluzioni: la sovranità nazionale.

"La divisione in Stati sovrani pesa come una maledizione sull'Europa" scriveva Altiero Spinelli nel 1956, pochi mesi prima che a Roma i sei Paesi fondatori firmassero i Trattati istitutivi della Comunità economica europea: una chiarezza di giudizio esemplare, che negli uomini di governo manca spesso ma che purtroppo non si trova più nemmeno tra i cantori della liberaldemocrazia. Tutti i punti elencati poco fa sono infatti legati alla capacità di cooperazione in politica estera tra Stati sovrani, che in ultima analisi dipende sempre da un calcolo costi-benefici che ognuno fa per conto proprio, e che impedisce una visione e una decisione davvero collettive, affidate a un governo democratico comune.

In questo senso ha ragione Giorgia Meloni quando lamenta la sua esclusione dall'incontro di Macron e Scholz con Zelenski, o il recente viaggio negli USA di una delegazione franco-tedesca; così come aveva ragione quando nel suo discorso per la fiducia in Parlamento dichiarò "per credere in un'aggregazione o integrazione europea non si deve per forza essere federalisti". Le due cose infatti stanno insieme: al di là di molte belle parole, nemmeno Macron e Scholz sono federalisti fino in fondo, e giocano la partita europea da capi di governo. Quello che Giorgia Meloni non accetta è proprio la conseguenza logica e politica della pretesa dei governi nazionali di stabilire il proprio interesse in politica estera, cercando di farlo combaciare con quello degli altri; o di imporlo, se necessario, con tutti i mezzi diplomatici a disposizione (tranne quello della guerra, fortunatamente).

Prendiamo di nuovo l'elenco e guardiamolo indossando gli occhiali del federalismo: in una UE federale Svezia e Finlandia godrebbero della difesa comune e quindi dell'ombrello NATO, e pazienza per le (inaccettabili) contropartite alla Turchia; l'invio di armi in Ucraina e le sanzioni sarebbero decise da un governo comune, senza veti o tentennamenti nazionali; i fondi comuni per lo sviluppo sarebbero coperti da un bilancio autonomo, votato dal Parlamento europeo; le grandi società digitali dovrebbero rendere conto delle loro scelte a un interlocutore ben più potente e attrezzato; la gestione delle crisi globali sarebbe finalmente in capo a una sola voce che parlerebbe a nome di centinaia di milioni di europei; e un nazionalista eletto alla guida di uno Stato non sarebbe un pericolo per l'Occidente più di quanto lo sia un governatore di uno Stato per gli USA.

I problemi politici, per quanto difficili ed enormi, tornerebbero quindi a essere affrontabili per gli europei; e il confronto con gli USA, con la Cina e con la Russia (ma anche con le medie potenze autocratiche e con gli Stati in in via di sviluppo) sarebbe veramente su un piano di parità. E tutto questo senza perdere un briciolo di autonomia su tutte le altre questioni oggi decise a livello nazionale o locale.
Se vogliamo essere realisti dobbiamo finalmente liberare gli europei dalla maledizione che grava su di loro, e ammettere che, in un mondo globalizzato, la liberaldemocrazia non può salvarsi insieme alla sovranità assoluta degli Stati.

È un trilemma in cui l'elemento di cui sbarazzarci non dovrebbe essere troppo difficile da individuare: a meno di non volersi scoprire nazionalisti, autocratici o autarchici.