montanari grande

Il caso Montanari non riguarda personalmente il neo rettore dell’Università per Stranieri di Siena, né la sua tuttologia politico-civile, né tanto meno le foibe e la presunta dittatura neofascista sulla storiografia ufficiale. Riguarda quel che rimane dell’egemonia culturale comunista dopo la fine non solo del comunismo, ma anche della sua egemonia culturale, ma prima, purtroppo, della fine della burocratica persistenza del potere di quel notabilato accademico, che su quella egemonia ha fatto carriera e degli epigoni di cotanti padri, intronati nelle cattedre a difesa della tradizione di famiglia.

Montanari e gli altri difensori dell’intoccabilità della storiografia antifascista distillata nella stagione stalinista hanno trasformato la retorica della Resistenza, come canone storico, in una ragione di resistenza permanente e, grazie al cielo, minoritaria contro il “revisionismo”: categoria che affascia ovviamente chiunque voglia parlare degli eventi della II Guerra Mondiale e del relativo dopoguerra discostandosi dall’ortodossia imposta dal Sant’Uffizio del Bottegone intorno alla metà del secolo scorso.

Come l’ortodossia, anche la difesa postuma di un’ortodossia ormai riconosciuta solo in piccoli gruppi di tradizionalisti indignati è un culto fatto di doppiezze intellettuali, sottigliezze iniziatiche e velenosità curiali, da cui il senso di qualunque discorso deve essere “decifrato”, non solo compreso e soprattutto passato al vaglio delle inquisizioni visibili e invisibili dei guardiani della verità. La cosiddetta polemica sul Giorno del Ricordo è un esempio da manuale di questo processo inquisitoriale.

Montanari non ha mai detto di considerare sbagliata o empia l’equiparazione degli eccidi delle Foibe alla Shoah e censurabile o scandaloso l’uso politico che i nostalgici del fascismo hanno fatto e fanno dei massacri titini, come giustificazione postuma dei crimini compiuti dalle truppe italiane e tedesche nella ex Jugoslavia. Montanari ha detto che il solo fatto di avere disseppellito storiograficamente quegli eccidi e averli riconosciuti come una pagina dolorosa della storia nazionale dimostra la soccombenza delle istituzioni repubblicane alla retorica neofascista.

Montanari non ce l’ha con i fascisti; ce l’ha con gli antifascisti che non accettano la vulgata (ex) dominante per cui le foibe sono semplicemente le tombe dei fascisti giustiziati per i loro crimini. Non lo scandalizza l’accostamento delle Foibe alla Shoah, ma il discostamento della cultura antifascista repubblicana dal canone imposto dalla storiografia comunista nell’immediato dopoguerra. Quella delle foibe doveva rimanere una tragedia negata e comunque politicamente interdetta. Le migliaia di morti e le centinaia di migliaia di esuli innocenti dovevano continuare a essere rubricati alla voce “fascismo” e ai relativi effetti collaterali. E per affermare tutto questo, Montanari ha riciclato stime che minimizzano i morti infoibati (solo 800, quelli accertati), propalati da un altro alfiere indomito dall’antirevisionismo storiografico, Angelo D’Orsi, congiunturalmente candidato della sinistra antagonista a sindaco di Torino. Montanari non ce l’ha con la Meloni, ce l’ha con Ciampi, Napolitano e Matterella e con gli storici di sinistra, come il (già) comunista Gianni Oliva, che a quella vicenda hanno dedicato pagine che stigmatizzano, oltre ai crimini, anche la congiura del silenzio che ha coperto questi crimini.

Tutte le ortodossie, oltreché di doppiezze, di menzogne, di verità addomesticate e di tributi curiali, vivono innanzitutto di omertà. Dell’omertà non solo come “prestazione” a servizio della menzogna, ma come prova di fedeltà, come crisma di appartenenza.
E a questa remota, ma risorgente appartenenza si deve anche il fatto che ad accorrere in difesa di Montanari, oltre ai sodali del Fatto Quotidiano e ad altri suoi illustri colleghi, come Alessandro Barbero, sia stato il vicesegretario del PD Provenzano, affermando che il rettore magnifico “ha solo detto che le foibe non si possono paragonare alla Shoah”. Falso: ha detto che istituire la Giornata del Ricordo – votata nel 2004 da tutti i partiti italiani, tranne Rifondazione comunista e Comunisti italiani e compresi DS, Margherita e Verdi- è stata in sé una forma di complicità con una falsificazione storica. E in effetti il tributo all’omertà antirevisionista non poteva che concludersi che con un addomesticamento conveniente delle parole di Montanari, da parte di un suo difensore democratico.