VonDerLeyen grande

A molti è piaciuta la lettera con cui la presidente della Commissione Europea ha chiesto scusa all’Italia, usando espressioni come “adesso l’Europa è con voi” (o comunque utilizzando parole che hanno consentito, da parte dei media, quel tipo di vulgata).

Personalmente abbiamo ritenuto questi apprezzamenti troppo generosi, al contrario ritenendo l’excusatio non petita di Ursula Von der Leyen una accusatio manifesta dell’Unione, appunto per quel che riguarda il rapporto con il nostro paese.

Accusatio a nostro parere ingiustificata, se guardiamo a quanto avvenuto in questi anni, tanto in Europa quanto in Italia. Le finalità di stabilizzazione economica e sociale dei paesi membri sono da sempre nel dna dell’Unione, e solo chi non vuol vedere può contestare l’evidenza di decenni di crescita e di pace nel continente. Analogamente, da quando è cominciata l’emergenza Coronavirus, al netto di toni e affermazioni a volte discutibili (pensiamo a Lagarde) le istituzioni europee hanno dato una risposta abbastanza pronta alle richieste italiane: vedasi quanto messo in campo dalla stessa Commissione, vedasi l’impegno della BCE ad acquistare 220 miliardi di titoli di stato italiani, permettendoci - con abbassamento dello spread - un notevole risparmio in termini di interessi sul debito (nell’ordine di qualche miliardo).

Sicuramente manca il passo successivo, quello più importante - sia esso l’approvazione di un MES senza condizionalità o il varo dei Coronabond - per il cui perfezionamento serve tuttavia un’intesa tra i singoli Paesi. Ed è proprio su questo punto che si è innescato un aspro dibattito con il fronte del Nord, tedeschi ed olandesi su tutti, con un innalzamento dei toni che non dobbiamo ritenere per forza negativo.

Nel momento in cui però la Von der Leyen è intervenuta nel dibattito, con la lettera di cui in premessa, si è consolidata l’idea che parlasse più da rappresentante di quel Nord accusato di scarso solidarismo che non invece da presidente della Commissione, quale è appunto il suo ruolo.

È questo che, a nostro avviso, costituisce un errore, e per due ragioni. La prima è che con la sovrapposizione tra l’esponente politica tedesca Von der Leyen e l’istituzione europea che rappresenta si fa un fin troppo generoso regalo alla propaganda sovranista nostrana, che non vede l’ora di poter provare all’opinione pubblica l’esistenza di una saldatura sistemica tra Bruxelles e Berlino.

E al di là di questo, ciò che è ancor più grave, le espressioni usate da Von der Leyen - pensiamo sempre a quell’ “adesso l’Europa è con Voi”, o peggio ancora “da adesso in poi” - avvalorano in un colpo solo tutti i pregiudizi antieuropei per come li abbiamo affrontati e subiti in questi anni: perché qualsiasi sovranista minimamente senziente, e ce ne sono, avrà buon gioco a mettere in dubbio rassicurazioni o garanzie che vengano dalla Commissione, appunto sul presupposto che l’azione fin qui condotta dev’essere stata, per implicita ammissione della stessa Presidente, perlomeno insincera.

Il costo di questa superficialità si concentra nell’impossibilità di stimolare, ancora una volta, una valutazione seria delle politiche italiane (economiche, fiscali, legislative) all’interno dell’Unione e del suo perimetro regolamentare. Sarà più difficile, ad esempio, tacitare chi da sempre sostiene che “il nostro debito è sostenibile”, contro qualsiasi raccomandazione di contenimento.

In effetti si sta già parlando di un possibile impegno a tenere il saldo primario sopra il 2% del prodotto interno lordo: cosa che consentirebbe all’attuale debito pubblico (pari al 135% circa del nostro Pil) di essere stabilizzato, potendosi assestare anche sul 140% o anche al 150% con uno sforzo addizionale sostanzialmente marginale. Il tutto, ovviamente, a condizione che persista l’impegno delle Banca centrale europea nella difesa dell’euro, come ha ricordato bene Nicola Rossi (Istituto Bruno Leoni) in un recente articolo sul Corriere della Sera.

Ma c’è un’altra cosa che opportunamente rileva Rossi, e che non può sfuggire alla stessa Von der Leyen: e cioè che se anche l'Italia annunciasse che intende mantenere indefinitamente un avanzo primario al di sopra del 2% del prodotto (al fine di stabilizzare il proprio rapporto fra debito e Pil), avrebbe verosimilmente scarsa credibilità.

Perché se si guarda agli ultimi 25 anni l'Italia ha registrato avanzi primari pari o superiori al 2% in sole otto occasioni. Promettendo, praticamente ogni anno, avanzi primari superiori per circa lo 0,5-1% a quelli poi effettivamente realizzati.
Alla luce di quanto detto appare chiaro quindi come il nostro problema non siano i presunti torti subiti dalla Commissione europea, ma l’incapacità di programmare e mantenere gli impegni assunti con la stessa Commissione. Forse è di questo che avrebbe potuto e dovuto parlare la Von der Leyen, senza scusarsi, e dopo aver giustamente assicurato ogni aiuto possibile. Ma come presidente della Commissione, ripetiamo, non come esponente in quota a un dato paese membro o appartenente a una certa area geografica.

Quella delle tensioni tra i vari paesi e tra i due blocchi esistenti (Nord/Sud) resta tuttavia una questione reale: che compete alla Von der Leyen affrontare come arbitro, certamente non come parte. Parliamo di una disputa ancora in corso, lungi da esaurirsi in poche ore, la cui analisi esige obiettività.

Germania e Olanda hanno mostrato (soprattutto la seconda) una rigidità insensata al tavolo delle trattative, cosa che ha determinato reazioni anche molto dure da parte del mondo politico italiano. Per quanto energica nelle forme, la richiesta di solidarietà da parte dell’Italia è parsa doverosa, soprattutto perchè proviene da esponenti politici che in questi anni - a differenza dei sovranisti, di opposizione e di governo - hanno predicato equilibrio di bilancio e rispetto degli accordi europei. Alla bassa propaganda di Salvini e Meloni (ma non dimentichiamo neppure Di Maio) circa una Germania “padrona”, basterebbe invece contrapporre qualche dato.

Negli ultimi sette anni (2012/2018) noi italiani siamo stati contributori netti dell’Unione per 37,7 mild, la Germania per 104,7 mld.: 2,7 volte noi, pur essendo meno del doppio come abitanti. Fino al 2000 l’Italia riceveva dall’Europa più di quanto versava, dal 2000 al 2005 era pressoché in pari, dal 2005 in poi l’Italia è contribuente netto. La Germania è contribuente netto da sempre. Se poi vi chiedete chi abbia finanziato più di tutti i fondi strutturali che han fatto decollare Spagna, Portogallo e Grecia, la risposta è sempre la stessa: la Germania. Senza dimenticare che quei fondi avrebbero potuto far decollare anche l'Italia e il sud se solo il nostro fosse un paese serio, che sa quel che fa e fa quel che dice.

C’è ancora il tempo per diventarlo, ed è una sfida ambiziosa. Serve una classe dirigente che voglia condividere quest’ambizione con gli elettori, e che sia pronta ad accettare i rischi della sfida anziché scansarli.