tsipras elezioni

ATENE. Una cosa è certa: i greci a Tsipras sono proprio pronti a perdonare tutto. Dopo otto mesi di tribolazioni con l'Europa, l'alleanza con un partito di destra, un referendum che doveva segnare un punto di non ritorno, l'accordo più duro di sempre siglato con i creditori internazionali e un mese di banche chiuse, il 35,5% di quelli che sono andati a votare hanno deciso di riconfermarlo alla guida del Paese. La precisazione è quanto mai opportuna, visto che quasi il 45% degli aventi diritto ha disertato le urne. A conti fatti, Tsipras sale al potere con il 17% del totale. Un po' poco per gridare al trionfo.

Ma, piaccia o no, Tsipras è nuovamente Primo Ministro e, assodato che da qualcuno è stato pur votato, bisogna capire perché lo abbia fatto. La risposta a questa domanda è riassunta da due parole: disperazione e assuefazione. La prima è provocata dalla mancanza di una valida e reale alternativa, la seconda dal rifiuto dei greci nei confronti della vecchia politica, considerata responsabile della rovina del Paese. A confronto di decenni di alternanza fra socialisti e conservatori, insomma, Tsipras, rimane ancora il male minore.

Il giovane premier sa lo sa perfettamente, però stavolta ha rischiato grosso. È vero che i greci non ne possono più della vecchia politica, ma Vangelis Meimarakis, diventato segretario dei conservatori di Nea Dimokratia quasi per sbaglio un mese e mezzo fa, ha fatto un miracolo, facendo guadagnare al partito quasi 10 punti rispetto alle politiche di gennaio. Anche il tanto vituperato Pasok, in alleanza con Dimar, ha portato a casa un quasi sorprendente 6,4%, segno che qualcuno fra i greci preferisce ancora turarsi il naso. Non solo, numeri alla mano, Syriza, ha perso quasi 300mila voti, molto più delle altre formazioni politiche.

L'unico partito di rilievo a guadagnare consensi sia in percentuale sia in termini di votanti, e questo è sicuramente il dato più grave di queste elezioni, è stato Alba Dorata, che si conferma la terza forza nel parlamento ellenico con il 7% e ben 18 deputati. Alternative politiche, che all'inizio erano sembrati promettenti, come il partito di centro To Potami si sono sciolte come neve al sole. La formazione, alla sua seconda prova, è passata dal 7% dell'esordio al 4,1%, segno che l'effetto novità è già svanito, che la prossima volta potrebbe scomparire e che, per quanto i greci abbiano in odio la vecchia politica, tranne i neonazisti e il premier di sinistra, questa sia l'unica a sopravvivere alla lunga.

Tsipras può tirare un sospiro di sollievo perché, almeno in casa sua, è riuscito a epurare la maggior parte degli esponenti contrari al memorandum e alla sua gestione del partito. Di più, Unità Popolare, formata da chi gli aveva voltato la faccia, non è neppure entrata in parlamento. Ma una cinquantina di anime irrequiete all'interno della formazione sono rimaste e qualcuna il premier rischia anche di trovarsela in assemblea. Non solo. Il comitato centrale non sembra così disposto a farsi commissariare e all'interno della formazione di sinistra iniziano anche ad affacciarsi figure che potrebbero, se non mettere in ombra, rubare la scena al giovane premier. Fra questi, l'attenzione degli analisti, è concentrata su Gabriel Sakellaridis, classe 1980, che nei dibattiti televisivi ha dimostrato una grinta e a volte anche una sostanza superiore a quella di molti suoi compagni di partito.

Il premier anche questa volta ha deciso di giocare la sua partita da solo. Ha rifiutato le offerte degli altri leader politici, alleandosi nuovamente con Anel, che è un partito di destra ma che condivide le politiche economiche di stimolo fiscale a favore della popolazione, a differenza degli altri partiti a impronta più neoliberista. Questa almeno è la motivazione ufficiale. La verità è che Kammenos si è rivelato un partner affidabile fino a rischiare l'esclusione dal parlamento e potenzialmente meno esoso in termini di dicasteri. La scorsa volta si è accontentato della Difesa, creando in pochi giorni una lunga serie di incidenti diplomatici con la Turchia. Stavolta potrebbe andare diversamente.

A sentire i suoi discorsi, sembra che siano capitate tutte la lui. Un negoziato tutto in salita, un partito che lo ha ostacolato. In un certo senso è come se Tsipras avesse vinto le elezioni per la prima volta. Però stavolta, almeno apparentemente è nelle condizioni ideali per lavorare: un mandato forte e di quattro anni, un alleato sulla carta fedele, anche se quattro voti di scarto sono pochini, l'Europa ben disposta. Se non dovesse riuscire a governare e fare progredire la Grecia nemmeno stavolta, Tsipras dovrà pensare di non avere idee così innovative o ricette efficaci per il futuro del Paese. Se poi altri esponenti del suo partito dovessero incappare in brutte storie di corruzione, come il ex ministro di Stato, Alekos Flabouraris, sarà costretto ad ammettere, anche lui, che fra la vecchia e la nuova politica greca non ci sia tutta questa differenza.

Intanto, mentre una parte della Grecia accetta con rassegnazione un destino che sembra essere stato imposto da lontano ce n'è una che fa festa. L'abbiamo vista in piazza lo scorso gennaio, nelle fontane di Atene lo scorso luglio quando passò il no al celebre referendum e di nuovo galvanizzata in questa sera di fine estate. Per il momento, è la freccia più importante all'arco di Tsipras. C'è una parte di Grecia che, bontà sua, qualunque cosa lui faccia, festeggia sempre.