logo editorialeCirca un mese fa il senatore Pietro Ichino ha provato a squarciare nell'aula di Palazzo Madama il velo di un'ipocrisia ormai consolidata e pluriennale: le leggi che il Parlamento italiano approva, molte delle quali di iniziativa governativa, sono letteralmente incomprensibili dai cittadini, dagli operatori economici dei settori interessati e – cosa ancora più grave – dagli stessi decisori pubblici.

«Vi leggo solo un comma preso a caso», sono parole del senatore e giuslavorista, riferiti al decreto-legge n. 101 del 2013 sulla razionalizzazione della PA:
«Gli ordini e i collegi professionali sono esclusi dall'applicazione dell'articolo 2, comma 1, del decreto legge 6 luglio 2012, n.95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.135. Ai fini delle assunzioni, resta fermo, per i predetti enti, l'articolo 1, comma 505, penultimo periodo della legge 27 dicembre 2006, n.296». Credo che in Aula, in questo momento, non ci sia una sola persona che sia in grado di dirci che cosa questo comma voglia dire.

Il ragionamento di Ichino può essere esteso ai conti pubblici, la cui opacità paralizza chiunque provi a contribuire al dibattito pubblico con proposte di riforma concrete. Prendiamo il caso della seconda rata dell'IMU prima casa, intorno alla quale si levano in queste ore le tensioni nella maggioranza parlamentare del governo Letta. Riuscirà l'esecutivo a reperire la copertura finanziaria adeguata per abrogare anche il saldo dell'imposta, dopo aver cancellato l'acconto di giugno? Dove e come?

Un dibattito politico serio si fonderebbe oggi su proposte esplicite: «Taglieremo qui», «Sarebbe meglio intervenire lì» e così via. Siamo invece appesi a sibilline dichiarazioni di intenti del ministro Saccomanni e dei suoi vice, che con la fronte corrugata giurano che in qualche modo faranno. Di più non è dato sapere, come peraltro accade da anni in tema di finanza pubblica. Nessuno può affermare che in un moloch di 800 miliardi circa di spesa pubblica annua non sia possibile ricavare qualche miliardino (ne servono circa 2,5 per la seconda rata Imu prima casa), ma troppe volte negli ultimi anni gli esecutivi compiuto operazioni di maquillage contabile, più che interventi strutturali e chiari.

Il potere reale è nelle mani dei mandarini del MEF, non in Parlamento e nemmeno nella sala-riunioni di Palazzo Chigi. E quando nelle segrete stanze ministeriali si decide che «i soldi non ci sono» e che «una copertura non è certa» non ci sono emendamenti parlamentari e proposte che tengano: recentemente ne ha fatto le spese anche Giancarlo Galan, che da relatore alla Camera del ddl Università aveva proposto un finanziamento alternativo del provvedimento, rispetto all'incomprensibile aumento delle accise sulla birra. Inutile chiedere delucidazioni, i mandarini non sentono ragioni e i rappresentanti di governo di turno preferiscono assecondarli.

Ormai il governo non governa, ma si limita a fare rappresentanza. Il parlamento, peggio ancora, ratifica solo, magari dopo aver rumoreggiato un po'. Ai partiti interessa solo il riflesso propagandistico della politica economica, le conseguenze sul consenso e non quelle sulla vita di famiglie e imprese. In fondo, la colpa non è mai dei tecnici, ma di chi ha scelto di derubricare l'azione politica a semplice racconto di una realtà deviata.