Navalny

Si sottovaluta sempre che i regimi totalitari sono assassini non solo perché non hanno in nessun conto la vita umana, ma anche perché hanno in gran conto la morte. I totalitarismi sono necrofili e disseminano di morti il proprio cammino, come se fossero un crisma di potenza e di grandezza. La morte come liturgia, anzi come sacramento.

Che i regimi largheggino negli eccidi, molto oltre il limite del necessario e perfino dell’utile, non risponde solo a un principio di intimidazione degli altri, ma di affermazione di sé. Per questo i regimi non nascondono i cadaveri, come i banali delinquenti per cui la morte è solo un pericoloso incerto del mestiere, ma li esibiscono come fanno i mafiosi, i terroristi e tutte le organizzazioni criminali in cui la morte, così liberamente e sovranamente arrecata, ha in primo luogo un significato politico e diventa una paradossale, ma riconosciuta forma di “legittimità”.

Insomma, la morte nei regimi non è solo un mezzo, ma è in primo luogo un fine e anche quella di Navalny, oggi decretata dal Cremlino, non sfugge a questo destino. Putin può uccidere chiunque quando vuole e questo è un fatto che precede e eccede qualunque omicidio o massacro compiuto nel suo nome. Però, il tempo e il modo in cui Putin organizza il calendario e il mansionario dei boia è sempre, ad un tempo, di un’ostentazione sfacciata e di un significato enigmatico, come di un potere che quanto più è assoluto e visibile, tanto più diventa indecifrabile e temibile.

Tutti a chiedersi perché abbia ammazzato Aleksej Navalny proprio oggi o perché abbia fatto ammazzare Anna Politkovskaja il 7 ottobre, innaffiando di sangue il giorno del suo compleanno. E magari il perché è solo fare impazzire tutti cercando un filo logico nell’arbitrio capriccioso del padrone della vita e della morte.

È tutto mostruoso, ma anche banale, routinario e burocratico, come ogni mostruosità in cui diventa labile e indistinguibile il confine tra la morte e la vita. Ma è anche tutto terribilmente “normale”, perché la psicologia del potere assoluto risponde immeditamente alla psicologia umana molto più di quanto avvenga in sistemi politici in cui nulla – comprese le scelte di vita e di morte – è semplicemente rimesso alla volubilità del tiranno.

Sono oltre vent’anni che l’Occidente assiste all’edificazione di questo sistema di morte, di questo regime di necrofilia criminale e fino a due anni fa la grande parte dei politici europei, per non dire della quasi totalità degli italiani, ha assistito a quel che accadeva dentro la Russia nella persuasione che nulla ne sarebbe uscito, di cattivo, “per noi” e che si poteva trattare con Putin con quel tanto di superiorità e deferenza per fare buoni affari, senza timore che la peste nichilista dai laboratori del Cremlino prendesse largo per ammorbare il mondo.

Putin è arrivato alla Casa Bianca, nel cuore delle cancellerie europee, si è comprato politici, diplomatici, giornalisti, manager, influencer e accademici in ogni dove, ha mandato i suoi sgherri a somministrare polonio e altri veleni nel cuore delle nostre democrazie. E noi non l’abbiamo visto arrivare, finché non ha messo migliaia di carri armati in fila e in marcia verso Kyjv. Da questo punto di vista Navalny, come Anna Politkovskaja, non sta solo sul conto delle sue, ma anche delle nostre colpe.