referendum ripudia la guerra

La messa solenne delle celebrazioni antifasciste sarà oggi officiata a Milano dal Presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo, che, nelle due ricorrenze della Liberazione dacché la Russia ha deciso di cancellare l’Ucraina dalla carta geografica, non accontentandosi di sbocconcellarne alcuni pezzi, ha scelto di schierare la memoria della Resistenza degli italiani contro le ragioni della Resistenza degli ucraini.

Nel 2022 il manifesto dell’Anpi per il 25 aprile spiegava che la Costituzione italiana, ripudiando la guerra come mezzo di risoluzione delle controverse internazionali, imponeva all’Italia di dissociarsi dal sostegno “bellicista” a Zelensky e di far finire la guerra facendo di fatto finire l’Ucraina.

Non che Pagliarulo non ammettesse allora – a due mesi dall’invasione – che c’era un aggredito e un aggressore e che l’Ucraina aveva il diritto di difendersi: avrebbe dovuto farlo, però, senza le nostre armi e senza il sostegno della Nato, perché ad impedirci di inviargliele e di sostenere la cobelligeranza alleata sarebbe stata nientemeno che la nostra Costituzione, cioè il prodotto della nostra Resistenza, anch’essa fatta però con le armi fornite dagli alleati inglesi e americani.

Un anno dopo, cioè oggi, l’Anpi torna sul tema con una posizione di ridicolo tartufismo pacifista, perfettamente rappresentata da un manifesto per così dire olistico, che invoca la liberazione “dalla guerra, dai fascismi e dalla disumanità”, mentre il suo Presidente, a proposito dell’Ucraina, saluta i tentativi di Brasile e Cina di “abbassare la tensione internazionale per evitare che si giunga a un punto di non ritorno” e denuncia che “in Italia e in Europa viviamo un tempo di propaganda di guerra” con una “mostruosa deriva bellicista, nonostante i sondaggi dicano che la maggioranza degli italiani (e anche degli europei) è contraria all'invio di armi e all'intervento della NATO".

Si torna sempre lì: all’idea che la cronicizzazione della guerra sia una conseguenza del sostegno militare all’Ucraina, cioè al ristabilimento, se non di un equilibrio o di una parità, di una condizione di non inevitabile soccombenza degli ucraini ai militari russi e ai mercenari pagati dai russi. Insomma, se gli ucraini non saranno costretti ad arrendersi, questa guerra non finirà mai, signora mia.

C’è da giurare che nella piazza di Milano e nelle altre piazze di un siffatto antifascismo oggi non saranno presenti, né gradite bandiere ucraine o, se presenti, per quanto sparute, saranno contestate come provocazioni o appena tollerate come distinguo molesti e fastidiose rotture dell’unità resistenziale. È spettacolare la differenza di accoglienza e di riconoscimento che quelle piazze anti-fasciste riconobbero in altri tempi alle ragioni delle liberazioni e delle lotte militari anti-imperialiste e anti-militariste, però contro gli Stati Uniti d’America.

È vero che La Russa e alcuni avanzi del reducismo vetero-missino hanno dato agio e pretesto all’Anpi di concentrarsi quest’anno sulla grottesca e ignobile apologetica del ventennio fascista e del quarantennio post-fascista. Ma è anche vero che esiste un solo fascismo di potere planetario, infiltrato in Occidente attraverso i canali della corruzione economica e ideologica e della guerra ibrida ed è quello di Putin e Prigozhin, non quello di Donzelli e di Lollobrigida.

È sempre istruttivo vedere come a certo resistenzialismo italiano faccia più orrore il fascismo da operetta e da parata di quello criminale e genocida. Istruttivo perché illumina la misura, la qualità e la moralità rossobruna di questo anti-fascismo d’antan.
Sullo sfondo di tutto questo, si staglia l’iniziativa del referendum per abrogare la legge che autorizza l’invio delle armi all’Ucraina, promosso da un Circo Barnum uno e bino di complottardi no vax e accademici antagonisti, a cui ha aderito pure il capo del M5S Giuseppe Conte.

Le modalità telematiche di raccolta dovrebbero rendere abbastanza agevole il raggiungimento delle 500.000 firme. La legittimità del quesito è dubbia, perché la giurisprudenza della Consulta è sempre stata molto estensiva nell’interpretare il divieto di sottoporre a referendum leggi “di autorizzazione a ratificare trattati internazionali” (articolo 75 della Costituzione) e in questo caso quella sottoposta a referendum non è una legge di ratifica di un trattato, ma un atto conseguente comunque alle decisioni assunte in ambito Nato.

In ogni caso, la cosa politicamente rilevante è che questo referendum tenta evidentemente di usare la paura dell’opinione pubblica per la situazione in Ucraina e per le conseguenze che ne potrebbero derivare all’Italia come mezzi di delegittimazione della resistenza degli ucraini a Putin. Insomma, è un plebiscito contro la “guerra per procura”. Il termine di paragone più pertinente per questa iniziativa non è rappresentato dai referendum radicali o da quelli ambientalisti e sulle riforme istituzionali che hanno segnato la storia italiana. È invece costituito dalla petizione, che raccolse un milione di firme, con cui il MSI all’inizio degli anni ’80 chiese di reintrodurre la pena di morte per porre fine agli anni di piombo.

Il referendum “contro la guerra” ha come obiettivo, non dichiarato, ma materiale la capitolazione e la schiavitù degli ucraini e la morte dell’Ucraina. E chissà che anche le celebrazioni del 25 aprile non diano a questo referendum l’abbrivio che i promotori si aspettano e che Conte chiaramente si augura.

E - non sappiamo se a supporto del referendum – ma sicuramente con obiettivi identici si è elevato un "appello ai cittadini, alla società civile e ai leader politici" per invitare "chi è contrario all’invio di armi in Ucraina" a "dar vita a una staffetta dell’umanità da Aosta a Lampedusa per camminare insieme, unire l’Italia contro la guerra". È firmata dal gotha della sinistra girotondista, senza se e senza ma  (scorrete l’elenco dei promotori, vi divertirete, ma non vi sorprenderete). La “Resistenza” italiana è ai posti di combattimento, dalla parte di Putin.