CatCalling is Violence grande

Di “catcalling” è giusto e opportuno parlare, proprio perché “non serve una legge”, proprio perché è un problema culturale. È un fenomeno diffusissimo, chiaramente sintomatico di una certa concezione della donna e di “ruoli di genere” che non trovano fondamento nella ragione ma in retaggi culturali. È giusto parlarne perché non si tratta di casi che contraddicono tendenze culturali già diventate patrimonio comune del tipo “si sa che è sbagliato il comportamento X ma purtroppo qualche persona non integrata lo fa”: c’è una buona fetta di popolazione che non ritiene per nulla sbagliato farlo e che anzi si ripara dietro l’ipocrisia del “complimento”. Proprio perché non ci ha mai riflettuto (“funziona così, lo fanno tutti”) o perché non è abbastanza stigmatizzato socialmente.

E non si capisce neanche quale legge naturale spingerebbe le donne a fare chissà come mai molti meno “complimenti” per strada agli uomini. Sperando non si arrivi alla ipocrisia di negare che la grande maggioranza dei “complimenti” arrivano alle donne non accompagnate da figure maschili, e che quindi chiaramente fanno leva sulla inferiorità muscolare della donna o su inerzie patriarcali per cui un maschio non deve interagire con una femmina che si trova nella sfera di appartenenza di un altro maschio. E che di riflesso moltissimi “corteggiatori di strada” resterebbero infastiditi se gli stessi apprezzamenti venissero rivolti a figure femminili a loro vicine.

Ci si augura che si riconosca la dignità del disagio gratuito provato da persone che stanno semplicemente camminando e devono essere poste in condizione di minorità da sconosciuti con frasi come “dove vai? Ahò me lo dai un bacio?” come non si dovrebbe fare più neanche con bambini. E che in certi contesti anche solo un richiamo per strada da uno sconosciuto, soprattutto la notte, soprattutto se isolati, possa risultare fortemente ansiogeno. Che una buona parte di questi corteggiatori stilnovisti goda nel provocare consapevolmente questo disagio per sentirsi in una condizione di superiorità e questo possa causare ulteriore frustrazione in chi subisce questo trattamento, in certi contesti con grande frequenza.

Ecco, se si pensa di liquidare tutto questo come “libertà di fare un complimento” ci si pone semplicemente dalla parte stupida della storia. Perché i costumi sociali cambiano, eccome, e sono cambiati enormemente negli ultimi decenni, molto più di quanto spesso purtroppo il femminismo non riconosca.

La rivoluzione sessuale non è stata imposta per legge, ma è arrivata con l’evoluzione spontanea della società; più precisamente quella dialettica individuo-società attraverso la quale ci condizioniamo reciprocamente ogni giorno, spostandoci di alcuni centimetri che negli anni diventano chilometri. Il “socialmente corretto” fa parte di ogni comunità e moltissime rivendicazioni sistematicamente accolte con macerazioni, fastidio e piccole e grandi crisi hanno poi cambiato la società.

Anche sull’ansia “panpenalistica” per cui qualcuno afferma di temere che si aprano procedimenti se qualche maschio saluta una donna: davvero qualcuno teme che l’obiettivo politico delle ragazze che si lamentano del catcalling sia andare a querelare ignoti che interagiscono con loro per strada, magari mentre vanno di corsa o in bici? Tutti abbiamo amiche che affermano di ricevere anche diversi episodi di catcalling in una sola giornata: si pensa davvero che la via giudiziaria sia la soluzione invocata dalla grande parte delle donne che segnalano il problema? E allora se la questione è “culturale” occorre accettare che se ne parli invece di pensare di obliterare la discussione nel terrore di chissà quali conseguenze penali o in virtù di sparate estremistiche che si trovano da qualsiasi parte.

Ma anche questa abitudine è un tratto culturale che si trasformerà come gli altri: più tipico di certe città rispetto altre, più tipico di certe culture rispetto ad altre. Come oggi è patrimonio diffuso che una minigonna non autorizzi uno stupro così un giorno sarà molto più diffuso che un abito avvenente o il semplice essere da sole non autorizzi commenti non richiesti. La via maestra è la stessa di sempre: farsi sentire, discutere, quando necessario provocare. “L’importante è che se ne parli”.