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La cosa più vera da dire è indicibile: e cioè che il “caso Tortora” non fu caso di malagiustizia. E la riprova è questa: che l’urto giuridico, civile e politico di quel caso si è registrato senza trasmettersi alla tempra generale del Paese, senza comporsi in un sentimento di condivisa riprovazione, senza consolidarsi in una simbolica pietra di inciampo a evocazione d’un fatto gravemente memorabile.

L’ignominia delle indagini che portarono a quei rastrellamenti indiscriminati, l’assoluta inconsistenza degli elementi di prova posti a sorreggere accuse di esclusiva provenienza delatoria, la volgarità moraleggiante delle requisitorie contro il cinico mercante di morte che precipitavano nei primi provvedimenti di condanna e infine la prosecuzione perfettamente incensurata delle carriere di quelli che realizzarono lo scempio e anzi ne rivendicarono la legittimità: tutto questo non è bastato neppure a fare di Tortora e del suo caso l’occasione per celebrare la tragica vicenda in cui trovava negazione una comune attesa di giustizia. E si spiega, appunto: perché quel che gli è successo non costituiva un accidente lungo un generale corso di giustizia altrimenti ispirato, ma un’escrescenza naturale del sistema che ne ha preparato e garantito la crescita nel milieu confortevole e culturalmente compatibile dell’inquisizione informativo-giudiziaria.

Se il ricordo di Tortora - a trentadue anni dalla sua morte - arreca fastidio, se c’è riluttanza a farne il caso che implica e denuncia la violazione di qualsiasi canone accettabile nell’amministrazione di giustizia, è perché si trattò di giustizia in realtà ordinaria, resa più strepitosa dalla fama del personaggio coinvolto e dal tenore particolarmente infamante delle accuse: ma non per questo diversa nella sostanza rispetto a quella che ordinariamente, sulla base della stessa impostazione civile, sulla scorta dei medesimi presupposti culturali e, soprattutto, per virtù di un’identica propensione sopraffattoria, si amministra ai danni di chiunque.

Il caso Tortora non fu quello della giustizia cui accade di funzionare male e che perciò è possibile ricordare liberamente, come i sistemi liberi ricordano e riconoscono i propri crimini. Fu, e rimane, un esempio della giustizia italiana: che non si denuncia troppo perché, denunciandolo, non si condanna quel che non funziona nella giustizia ma il modo in cui essa funziona.