Quelli che vorrebbero cancellare l’Unione Europea dai libri di scuola
Terza pagina
La tentazione di replicare a un articolo di Diego Fusaro è spesso sopita dall’inutilità del confronto, ma l’ultimo scritto del sedicente filosofo contemporaneo sulla supposta “propaganda pro Unione Europea nei libri di scuola”, pubblicato da Lettera 43, merita un intervento per amore di verità.
Come l’intera nostra generazione, anche Fusaro è nato e cresciuto al riparo dai grandi conflitti armati che hanno attraversato l’Europa per secoli. Il nostro mostra da sempre poco interesse per la libertà di viaggiare, di stabilirsi e di lavorare sull’intero territorio dell’Unione (per lui anche un ventenne che studia inglese e fa il barista a Londra è parte di una “élite deterritorializzata”) e dunque gli suscita ancor meno entusiasmo l’assenza di barriere al commercio in un mercato di oltre 500 milioni di persone consenta a milioni di lavoratori italiani di guadagnarsi il pane grazie a quel che dall’Italia esportiamo nel resto del Continente. Per quanto riguarda l’euro, poi, nella sua filippica contro il libro scolastico contesta che con la moneta unica le economie europee siano diventate più stabili e abbiano eliminato le svalutazioni. Non conviene perder tempo per spiegare a Fusaro che l’euro ha semmai protetto le fragili economie mediterranee negli anni della grave crisi economica e finanziaria dell’ultimo decennio, né vogliamo sprecare parole e numeri per mostrargli cosa accadeva al potere d’acquisto dei salari dei lavoratori italiani, greci, spagnoli e portoghesi negli anni dell’inflazione galoppante.
E’ preferibile concentrare l’attenzione sui fondamentali della questione che lui pone, e cioè se sia giusto che un testo scolastico offra agli studenti una visione pro-integrazione europea. “Le masse popolari ortopedizzate fin dai primi anni di scuola in senso liberal ed eurista”, scrive con moderazione il nostro enfant prodige della filosofia contestando quella che lui considera una parzialità del testo. A noi pare il momento di rispondere senza timori: quel libro scolastico è una boccata di ossigeno puro, una scialuppa di buon senso nel mare della demagogia.
Rifiutiamo l’idea che i testi su cui studiano i giovani italiani debbano rinunciare a dire cose vere, provate e scontate - ad esempio che abbattere barriere favorisce i commerci e dunque la prosperità, o che una sempre maggiore integrazione è un disegno di pace – in nome di una supposta terzietà tra il buon senso e le ideologie sovraniste. Nessuno crede che un libro scolastico debba prendere posizione politica, debba entrare nel dibattito di politica economica e monetaria o debba negare i problemi esistenti in qualsiasi costruzione umana. Ma contestare la realtà (Fusaro critica che quel testo parli della BCE come di una istituzione votata alla stabilità dei prezzi, che è esattamente quello che essa fa) in nome di una narrazione è una pretesa che respingiamo in toto.
Fusaro è un ottimo interprete (peraltro buono per i salotti televisivi e le serate eleganti, lui sì ormai élite dominante) di un pensiero ipocritamente popolare e in realtà votato alla distruzione delle istituzioni liberali e democratiche. Lui assume alcune delle paure e dei più ovvi riflessi reazionari e li nobilita (o prova a farlo) con parole forbite e violenti costrutti verbali. Fusaro fa lo stesso gioco di Salvini e di Grillo: di fronte alle inevitabili difficoltà di una costruzione europea ancora a metà del guado, ha individuato il suo spazio di mercato politico e mediatico proprio in queste difficoltà, provando a esasperarle e ingrandirle. Non c’è obiettivo, se non il successo personale. Non c’è alcuna pars construens, perché il consenso (per Salvini e Grillo) e il successo (per Fusaro) derivano dalla sola pars destruens. Se poi il risultato della loro azione dovesse essere il crollo della più grande esperienza di pace e prosperità che i cittadini europei abbiano conosciuto negli ultimi secoli, poco importa. Non che Fusaro abbia il potere di abbattere alcunché, il simpatico filosofo ha solo il talento di seguire la corrente e le tendenze striscianti, mettendole per iscritto e decantandole in video.
Quella corrente e quelle tendenze sono il nostro vero avversario culturale e il rischio è che a cedere alla tentazione della “terzietà” sia – dopo un pezzo del mondo politico e una quota dell’informazione - anche il mondo della scuola. Vigileremo, vigileremo, perchè l’ambizione di modificare i libri di testo a uso e consumo di una ideologia emergente è un fantasma di quell’Europa della prima metà del Novecento che speravamo di aver chiuso nel baule della vergogna.