In Italia ci sono editori che non pagano. E autori, traduttori, collaboratori che lavorano senza ricevere il dovuto. Nell'ambiente è cosa risaputa da tempo, ma è solo da poco che le cattive pratiche di certa editoria italiana hanno iniziato ad arrivare a conoscenza di un pubblico più vasto.

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Proprio in queste ore sta divampando la polemica su Twitter contro le presunte insolvenze dell'editrice ISBN e del suo direttore Massimo Coppola. Tutto è iniziato con una serie di tweet dello scrittore britannico Hari Kunzru, che denunciava il mancato pagamento dei diritti dovuti all'autrice Katie Kitamura. Ne è seguito un effetto valanga che ha portato uno stuolo di traduttori a dichiarare di non aver ricevuto da ISBN ciò che gli spettava per il loro lavoro. Un'iniziativa spontanea che poi si è dotata di appositi hashtag: #OccupayIsbn e #occuPAY. Ce ne offre un'impeccabile cronaca Paolo Armelli su Wired Italia.

Purtroppo quello di ISBN non è un caso isolato. Pochi giorni fa un gruppo di collaboratori non pagati di Castelvecchi è intervenuto alla presentazione romana di un libro di Fausto Bertinotti, per denunciare l'inadempienza della casa editrice. E ci sono anche i casi di Voland e Zandonai.

Spesso tra i collaboratori che si trovano (loro malgrado) a lavorare gratis per editori insolventi ci sono i traduttori. Sono collaboratori esterni per la natura stessa del loro lavoro. Altamente qualificati, invisibili, impegnati in una formazione permanente che si pagano per lo più di tasca propria, privi di tutele, lavorano in regime di diritto d'autore, anche se nella maggioranza dei casi non percepiscono royalties, ma solamente un compenso a cartella (tra i più bassi d'Europa). I traduttori sono abituati a lavorare in solitudine e, sebbene il loro lavoro dia un apporto fondamentale e imprescindibile all'industria libraria, non stupisce che siano spesso bistrattati, quando non addirittura vessati. Ma i traduttori all'epoca di Twitter sanno anche fare rete, confrontarsi, fare fronte comune, come in questo caso che ha visto ISBN nell'occhio del ciclone.

Da qualche anno i traduttori editoriali hanno anche un sindacato, che si chiama STradE (Sindacato TRADuttori Editoriali), come la testata su cui mi state leggendo. Per dotarsi di un'assistenza fiscale e legale (che evidentemente è più necessaria che mai), per aderire a una società di mutuo soccorso sanitario, per migliorare le condizioni lavorative di tutti, per essere meno soli e vulnerabili.

Le istanze dei traduttori, pur nella loro specificità, si iscrivono però in un quadro più ampio: quello della nostra Italietta dove il lavoro intellettuale, culturale, in fondo non è considerato vero lavoro ("fai una cosa che ti piace e vorresti pure essere pagato?"). Dove è concepibile e ammissibile che si possa lavorare gratis, per "fare curriculum", per "farsi conoscere", per "avere visibilità". Ma il lavoro è lavoro e deve essere retribuito con dignità. Sembra che ormai il vaso sia colmo, tanto che su Twitter ha iniziato a traboccare. I traduttori hanno cominciato ad alzare la testa. Chissà che non lo facciano anche altre categorie di lavoratori. Questo (forse) è solo l'inizio.