Il mondo è pieno di gente che vorrebbe imporre una propria morale o una propria etica personale all'impresa e al mercato. A quelli che criticano la lettera con cui Rolex difende la propria immagine dalle intemerate di Renzi e Alfano andrebbe ricordato che il ruolo dell'impresa, in generale, non è quello di produrre etica o morale, ma di produrre e difendere valore economico. Hasta siempre, Rolex!

castro rolex

La scorsa settimana l'amministratore delegato di Rolex Italia è stato il personaggio più criticato del web. Il cosiddetto "popolo della rete" non ha gradito la lettera, pubblicata sui principali quotidiani nazionali, con cui la casa di orologi svizzera ha preso le distanze dalle dichiarazioni di Renzi e Alfano. Dichiarazioni con le quali premier e ministro dell'interno, probabilmente in modo inconsapevole, avevano accostato il famoso marchio ai black bloc. Tutto è nato da una foto. Una delle tante foto sugli atti di vandalismo nel centro di Milano durante la giornata inaugurale di Expo 2015. A esservi ritratta è una giovane manifestante che imbratta una vetrina, con al polso un orologio di marca. Un Rolex, si suppone, anche se, a dire il vero, la marca e l'autenticità non sono del tutto chiare.

"Ha mancato di coerenza!" Questa è la prima critica rivolta all'AD di Rolex. Avrebbe fatto meglio a tacere, sostiene il coro dei critici. Così come ha sempre taciuto in passato, ogni volta che il Rolex pure si è accompagnato a comportamenti poco edificanti, opinabili. Chi non ricorda il figlio di un ex ministro, che lo riceve in regalo dall'imprenditore coinvolto in uno scandalo di appalti? O i numerosi fatti di cronaca dove corruttori e corrotti si scambiano Rolex contro collaborazione e disponibilità a fare favori. Poi non mancano storie di malviventi e affaristi senza scrupoli, che amano girare con il Rolex al polso. C'è chi si spinge a citare storie di politici che lo regalano alle loro giovanissime amanti. O di piacenti signore, un po' avanti negli anni, che lo regalano al proprio toy boy in cambio di compagnia. Perché, si chiedono gli internauti indignati, l'azienda ha taciuto in tutti questi casi?

Secondo me bisognerebbe farsi la domanda opposta: perché, e da chi, l'azienda avrebbe dovuto prendere le distanze in questi casi? Se il mio mestiere è produrre orologi, non sono tenuto a preoccupami di chi li acquista. Cosa c'entra l'orologio con la reputazione di chi lo indossa o lo regala? Niente. Dal punto di vista dell'orologio, cosa cambia rispetto ai tanti casi normali, fuori cronaca, in cui viene acquistato o regalato a qualcuno? Niente. È forse il Rolex all'origine degli episodi di corruzione o di malaffare? No. L'orologio non si identifica con le motivazioni personali di chi lo indossa, lo regala o lo riceve.

Sono tutti episodi in cui il ruolo dell'orologio non solo è neutrale, come sarebbe stato quello del danaro in una busta, di un'auto lussuosa o di un'opera d'arte. Ma in cui l'orologio "recita" anche la sua parte "come da copione". È un dono, un gadget. Chi lo regala vuole fare bella figura, darsi importanza, ostentare uno status economico. C'è chi lo acquista o lo regala perché lo considera un investimento, meglio del denaro, dei titoli o delle case. Oppure, più semplicemente, perché è bello e si fa desiderare. Insomma, tutte queste situazioni non intaccano l'immagine del Rolex. Al contrario, gli conferiscono valore.

Perché invece, l'azienda ha fatto bene a prendere pubblicamente le distanze dalle dichiarazioni del governo sul caso dell'orologio al polso del manifestante? In quel caso, all'orologio è stato attribuito un ruolo completamente diverso. Un ruolo fuori dal suo copione e tutt'altro che neutrale. Il Rolex è diventato parte integrante di uno stereotipo negativo, un messaggio come "i devastatori di Milano sono giovanotti figli di papà con Rolex al polso", viene tradotto facilmente come "se indossi un Rolex, sei un figlio di papà e potenzialmente vai a sfasciare le vetrine, perché sei un giovanotto viziato che non ha niente di meglio da fare". A chi non è venuta in mente questa associazione? È sbagliata, ma l'accostamento è immediato. Le ricadute negative sul marchio ci sono. E il disappunto dell'azienda in questo caso è comprensibile.

"I soliti furbi senza scrupoli". Questa è la seconda critica rivolta all'azienda svizzera. Approfittano della pubblicità gratuita tutte le volte che gli episodi di cronaca offrono un'occasione di "ribalta" al loro marchio. Ma poi protestano subito se per una volta i fatti di cronaca li mettono in cattiva luce. Secondo questo punto di vista, l'azienda avrebbe semplicemente dovuto tacere, autocensurarsi e rinunciare a difendere la propria immagine. E ciò in ossequio a principi non ben precisati di giustizia, etica e bon ton. Che dire? Il mondo è pieno di gente che vorrebbe imporre una propria morale o una propria etica personale all'impresa e al mercato. A costoro andrebbe ricordato che il ruolo dell'impresa, in generale, non è quello di produrre etica o morale. Ma di produrre e difendere valore economico. Perché è in questo modo che si crea anche occupazione e benessere.

Ho il sospetto che se la lettera di rimostranze fosse provenuta da un'altra azienda, magari con un marchio più "popolare", tutto questo polverone non sarebbe stato sollevato. Il prodotto e il marchio Rolex, che per certi versi simboleggiano ricchezza e lusso, invece, sono il bersaglio preferito di una mentalità secondo cui acquistare oggetti di lusso è qualcosa "di per sé" contrario all'etica e alla morale. È la mentalità del celebre slogan "anche i ricchi piangano", che vede nella "redistribuzione della ricchezza" la ragione fondante dell'azione pubblica. Una mentalità che in momenti difficili di crisi economica prende facilmente il sopravvento, e suggerisce di scaricare la propria rabbia sui simboli di ricchezza e lusso, su chi sceglie di acquistarli o indossarli, trasformandoli in capri espiatori.

E forse ciò che molti, inconsapevolmente, non riescono a digerire, è che la lettera della Rolex si sia permessa di mettere in discussione proprio uno stereotipo negativo scelto come capro espiatorio della crisi: il figlio di papà con il Rolex, che non ha niente da fare, campa di rendita mentre tutti gli altri poveri giovani e lavoratori debbono tribolare. È un capro espiatorio che, come gli untori manzoniani, non esiste. Ma questo alle folle assetate di sangue poco importa. 

"Quella lettera si trasformerà in un boomerang per il marchio elvetico". Questa, infine, è la premonizione degli indignados del Rolex. Convinti che le rimostranze della casa svizzera non sono state apprezzate dal pubblico, e che questo atteggiamento peserà sulle vendite di Rolex molto più dell'immagine negativa prodotta dall'associazione con i black bloc.

Io credo che sia difficile prevedere quello che succederà. Se mi volto indietro, però, rivedo gli storici poster pubblicitari della Rolex dal titolo "A Time For Revolution". Quelli che ritraggono Fidel Castro e Che Guevara con i loro orologi svizzeri al polso. Castro ne indossa addirittura due. Chissà quanti radical-chic anticapitalisti europei e americani, in passato, avranno acquistato un orologio di lusso guardando quelle foto che lo accostano al mito della rivoluzione. Non bisognerebbe sottovalutare le capacità del marketing e della pubblicità, e nemmeno sopravvalutare la resistenza di taluni, presunti, principi etici. Alla fine la memoria è corta e il mercato, per fortuna, vince sempre.