La domanda mondiale di sigarette tradizionali è enorme e ancora in crescita, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Ma la transizione verso il futuro è già iniziato, non contro ma grazie alle "cattive” multinazionali.

Falasca

Il mercato, si sa, non finisce mai di stupire. E dopo decenni trascorsi a credere che le sigarette non avessero “predatori naturali”, e che dunque il principale strumento per contrastarli fossero gli argomenti “morali” e salutistici, condensati in leggi dal sapore proibizionista, oggi scopriamo che la principale minaccia alle sigarette tradizionali arriva dal mercato. E cioè dall’emersione di prodotti concorrenti, nati come frutto di innovazione e creatività.

C’era e c’è nel mondo una domanda di “alternative alla sigaretta” che molti cercano di intercettare. La chiave di volta – a lungo e invano cercata in caramelle, gomme masticanti e cerotti che facessero “smettere di fumare” – è arrivata dall’innovazione tecnologica e dall’idea che una possibile parziale soluzione non sia quella di privarsi della nicotina, ma di creare prodotti meno rischiosi per la salute in quanto senza combustione. La diffusione nel mondo, e soprattutto nei paesi più avanzati, delle sigarette elettroniche e dei dispositivi da tabacco riscaldato sta seriamente rivoluzionando il settore.

Smessi i panni del vezzo e del palliativo, e-cig e riscaldatori stanno ponendo le basi per il pensionamento delle “bionde”. Secondo una elaborazione di dati di Sigmagazine, il mercato mondiale delle sigarette elettroniche ha generato nel 2016 un fatturato di 7,1 miliardi di dollari. Tre quarti dei prodotti sono stati venduti in Europa o negli Stati Uniti, con il Vecchio Continente dotato di ampi margini di crescita, soprattutto in paesi come l’Italia e il Regno Unito. Per ora l’Asia contribuisce con il 20 per cento del mercato globale, ma è evidente che Cina e India saranno in futuro degli autentici game-changer: secondo una ricerca di Factasia, il 69 per cento dei fumatori indiani avrebbe preso in considerazione l’ipotesi di passare alla sigaretta elettronica. Con i trend attuali, stima BIS Research, il fatturato globale delle e-cig potrebbe giungere a 47 miliardi di dollari entro il 2025.

Attenzione: stiamo parlando di una quota comunque limitata rispetto alla vendita globale delle sigarette, pari nel 2014 a 774 miliardi di dollari (5.600 miliardi di sigarette), cresciuta dell’8 per cento dal 2000 al 2014 e destinata ancora ad aumentare, soprattutto in virtù della domanda sostenuta dei paesi a reddito medio-basso. Nei paesi più avanzati, invece, il consumo di sigarette tradizionali ha iniziato il proprio lento fisiologico declino, soprattutto per via della maggiore consapevolezza dei rischi per la salute.

Visti i volumi del fenomeno, la sensazione è che la rottamazione della sigaretta tradizionale avverrà solo quando i grandi player del mercato – le multinazionali del tabacco – sceglieranno essi stessi di diventare attori del cambiamento. È ciò che sta avvenendo. “Quando le multinazionali del tabacco entreranno seriamente nel mercato delle sigarette elettroniche?”, ci si chiede spesso. La risposta a cui stiamo assistendo sarebbe apparsa inaspettata fino a poco tempo fa: lo faranno e, oltre alle e-cig che tutte le quattro grandi multinazionali producono, hanno scelto di puntare anche sulla promettente prospettiva del tabacco riscaldato.

Dietro il recente entusiasmo delle compagnie del tabacco per questi nuovi prodotti specifici, c’è il caso di successo del Giappone, il cui mercato del tabacco riscaldato ha già superato i 2 miliardi di dollari annui nel 2016. La prospettiva, secondo la società di ricerca londinese Euromonitor International, è che la spesa nipponica per il tabacco riscaldato cresca fino a 8,7 miliardi per il 2021. La vicenda giapponese sta facendo da apripista ai mercati europei, come dimostra la diffusione di IQOS, il dispositivo lanciato da qualche tempo dalla Philip Morris International in alcune decine di città campione.

I numeri sono ancora residuali, ma la reazione dei consumatori al prodotto è positiva e soprattutto “esclusiva”. Nel caso delle sigarette elettroniche, infatti, i dati dimostrano come circa quattro utilizzatori di e-cig su cinque (il 77 per cento nel 2016 e l’83 per cento nel 2017, secondo i dati OssFAD – Indagine DOXA-ISS) abbini la “svapata” con la sigaretta tradizionale, alternandole. Nel caso del tabacco riscaldato, invece, la transizione dalla sigaretta tradizionale sembra definitiva e meno duale.

I grandi colossi del tabacco, dunque, hanno trovato con il tabacco riscaldato la rotta ideale per la transizione verso un futuro senza sigaretta. Salvaguardando la filiera del tabacco, cambiandole forma ma non sostanza, l’obiettivo cruciale della riduzione del rischio per i consumatori viene cioè perseguito dalle multinazionali senza sacrificare gli asset industriali e senza in fondo cambiare mestiere.

Dal punto di vista generale, sigarette elettroniche e tabacco riscaldato sono entrambi frutto della creatività che nessun demiurgo o programmatore pubblico avrebbe potuto concepire. Sono beni diversi, con caratteristiche diverse e capaci di intercettare bisogni e aspettative non sempre sovrapponibili. Non ha senso preferire uno all’altro, come non avrebbe senso inibire lo sviluppo di un nuovo ipotetico prodotto a loro alternativo.

È cruciale che il legislatore nazionale ed europeo – per essere concreti – assecondi e valorizzi la pluralità: è l’innovazione la leva che consentirà la “rottamazione” della sigaretta tradizionale, ed è bene che essa venga fiscalmente agevolata senza che la politica si illuda di poter distinguere tra buoni e cattivi.

@piercamillo