piano di pace grande

È grande la confusione sotto il cielo di Gaza, ma la situazione non sembra eccellente, meno che mai che per i gazawi, che “finito il genocidio” sono tornati ad essere schiavizzati e ammazzati da Hamas, nella totale indifferenza dei propal.

Magari è solo un effetto della confusione e della lentezza di un piano per molti aspetti aleatorio e per altri inevitabilmente segreto, però non è così irragionevole temere che il piano Trump sia quello che, proposto da altri, sarebbe parso il più inaccettabile: si liberano gli ostaggi ebrei, si scarcerano centinaia di terroristi palestinesi, si interrompono le operazioni militari dell’IDF e si riconsegna parte di Gaza ad Hamas, in cambio della promessa di farne un Afghanistan non aggressivo verso lo stato ebraico.

Si pensi all’autorizzazione ai miliziani jihadisti, candidamente confessata dal Presidente degli Stati Uniti, di agire per un periodo temporaneo come forza di polizia locale, cioè di uscire dai tunnel per regolare i conti con le bande nemiche e riprendere il controllo del territorio di ampie parti della Striscia.

Era chiaro fin da quando l’accordo per Gaza fu presentato che, dopo lo scambio tra ostaggi e detenuti e il ritiro parziale dell’IDF, i primi giorni sarebbero stati i più caotici e difficili, ma al momento non sembra essere stata avviata alcuna transizione, sembra piuttosto un ritorno sorvegliato allo status quo ante.

Sarebbe peraltro un piano molto pericoloso per Israele, ma molto servibile per quanti in Israele, esattamente come prima del 7 ottobre, pensavano che una Gaza in mano ad Hamas rappresentasse un ottimo affare e costituisse la pietra tombale del processo verso il riconoscimento di uno stato palestinese.

Sarebbe un piano disastroso per i civili a Gaza e in Cisgiordania, che continuerebbero a vivere ingabbiati in un sistema di schiavitù, corruzione e fanatismo e a essere usati come merci di scambio o alibi di operazioni regionali e globali, che dietro il nome della Palestina nascondono disegni che non hanno niente a che fare con il miglioramento delle condizioni di vita e la garanzia dei diritti del “palestinese ignoto”.

Magari nelle prossime settimane si scoprirà che il piano per Gaza non è questo, che arriveranno truppe dei paesi arabi a disarmare (pacificamente?) Hamas, i miliardi del Golfo a ricostruire case e infrastrutture civili sulle macerie della guerra e gli investimenti necessari per fare in modo che la Striscia non continui a vivere di carità internazionale, intermediata da una organizzazione criminale.

Magari il piano di Trump è molto diverso da quello che sembra oggi, ma quello che sembra oggi non spinge né alla speranza, né all’ottimismo.