case green grande

Sta per entrare a regime un meccanismo burocratico senza precedenti. Si chiama National Building Renovation Plan (NBRP) ed è il modello predisposto dalla Commissione europea per attuare la direttiva 2024/1275 sulla prestazione energetica degli edifici. Ogni Stato dovrà adottarlo per pianificare, descrivere e rendicontare la “progressiva ristrutturazione” dell’intero patrimonio edilizio. Si tratta di un documento strutturato, articolato in sezioni e tabelle, che impone una standardizzazione tecnica, amministrativa e politica su tutto ciò che è costruito. Il fine dichiarato è l’efficienza energetica; il risultato concreto è l’ulteriore compressione della libertà abitativa.

In particolare, il piano non si limita a raccogliere dati. Obbliga gli Stati a censire ogni edificio per tipologia, superficie, epoca, zona climatica, classe energetica, consumi, emissioni, tipo di riscaldamento, presenza di fonti rinnovabili, destinazione d’uso, stato di ristrutturazione. Ogni informazione deve essere disaggregata, proiettata nel tempo e collegata a obiettivi di adeguamento. Ma non è solo un’esercitazione statistica. È la base per costruire una traiettoria obbligata, con target da raggiungere, aggiornare e controllare. La casa, da spazio privato, diventa un oggetto di pianificazione pubblica.

Il modello prevede altresì che ogni Stato tracci il percorso con cui trasformare il proprio patrimonio edilizio in “zero emission buildings”. Le ristrutturazioni devono essere classificate in tre livelli (leggera, media, profonda) e rapportate al risparmio energetico previsto. Non importa se conviene né se serve. Conta solo che si proceda lungo la traiettoria definita. È l’efficienza imposta per via amministrativa, svincolata da ogni dinamica contrattuale.

Com’è evidente, la logica che informa il documento è dichiaratamente ostile al mercato e alla cooperazione volontaria. Vengono identificate come “barriere” tutte le decisioni che non seguono la direzione voluta: se un proprietario decide di non intervenire per motivi economici, per vincoli affettivi o perché la ristrutturazione non è necessaria, questo non è riconosciuto come espressione legittima della libertà di disporre. È un problema da risolvere. Il potere politico non si limita più a regolare: vuole correggere le scelte individuali, uniformare le intenzioni, dirigere il comportamento.

In nome della trasparenza, si propone in buona sostanza l’accessibilità pubblica a tutte le informazioni energetiche degli immobili. Nondimeno, la trasparenza, in questo caso, significa espropriazione informativa: ciò che riguarda il privato viene esposto, confrontato, valutato in base a standard esterni. La casa non è più un bene, ma un oggetto di sorveglianza. La riservatezza cede il passo a un’idea di esposizione permanente. Non si tiene conto dei costi, della redditività, delle priorità dei singoli. Ogni deviazione dalla traiettoria è registrata e deve essere giustificata. Si costruisce così una struttura permanente di controllo e correzione, in cui la proprietà non ha più un valore in sé, ma soltanto nella misura in cui serve agli obiettivi definiti da altri. Nessun equilibrio tra fini e mezzi. Solo obblighi.

Il piano raccoglie anche dati sulla povertà energetica, ma ignora gli effetti regressivi delle misure previste. I più colpiti saranno i proprietari marginali, gli anziani, le famiglie a basso reddito, i piccoli centri. Chi non può adeguarsi si troverà spinto verso l’alienazione forzata del proprio bene. La redistribuzione non avviene tramite quindi la spesa pubblica, ma tramite l’imposizione normativa. L’uguaglianza si persegue con l’uniformazione forzata, non con il rispetto delle differenze.

Si parla di edifici come produttori di energia, dotati di sistemi digitali per il monitoraggio e la comunicazione dei consumi. Ma questa trasformazione tecnica nasconde un mutamento politico. La casa viene integrata in un circuito di trasmissione e verifica continua, connessa a strutture decisionali che sfuggono al controllo democratico. La promessa di efficienza serve a mascherare una nuova centralizzazione.

In definitiva, l’abitazione, da sempre spazio della libertà personale, viene reingegnerizzata come unità funzionale. La varietà, la storia, la dimensione simbolica e culturale dell’edilizia vengono trattate come ostacoli. La standardizzazione diventa obiettivo, non mezzo. E ciò che non è conforme, non viene tollerato. Il pericolo non sta nella ristrutturazione in sé, ma nella sua trasformazione da scelta a obbligo. Il vero nodo è la sovrapposizione tra obiettivo ambientale e comando politico.

Una società aperta non ha bisogno di piani unici, ma di regole certe, limiti precisi e libertà garantite. Una politica degna di questo nome non pretende di rifare il mondo, ma si astiene dal rifarlo al posto degli altri. Il diritto di abitare non consiste nel rispetto di una soglia di consumo energetico, ma nella possibilità di decidere. La sostenibilità non è nell’efficienza imposta, ma nella responsabilità libera. Quando questo si dimentica, la casa cessa di essere un rifugio. E diventa una casella.