La Françafrique e la ‘dottrina Balladur’. Il franco CFA è stato un fallimento
Istituzioni ed economia

Il franco CFA esiste dal 1945 ed unisce quattordici paesi uniti in due zone monetarie: Benin, Burkina Faso, Costa d'Avorio, Guinea-Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo, da un lato, che appartengono all'Unione economica e monetaria dell'Africa occidentale (UEMOA); Camerun, Gabon, Ciad, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana e Repubblica del Congo, dall'altro, che formano la Comunità economica e monetaria dell'Africa centrale (CEMAC).
Queste due unioni monetarie hanno ciascuna una banca centrale. Utilizzano un franco CFA distinto, il che si traduce in due valute che condividono lo stesso acronimo, ma non lo stesso nome: CFA sta per "Cooperazione finanziaria in Africa centrale" per il franco della zona CEMAC e "Comunità finanziaria africana" per il franco della zona UEMOA. Questi due franchi CFA funzionano allo stesso modo e sono agganciati all'euro con la stessa parità (1 euro vale 655,96 franchi CFA).
Tuttavia, le banconote CFA di queste due unioni monetarie non sono convertibili: se si desidera ottenere un franco CFA dalla CEMAC in cambio di un franco CFA dall'UEMOA, o viceversa, generalmente è necessario utilizzare l'euro. Un quindicesimo stato, l'Unione delle Comore, utilizza un altro franco, il franco comoriano, ma è legato alla Francia dallo stesso tipo di legame; questi quindici stati appartengono alla zona del franco, un'area regolata da principi comuni di gestione monetaria. Il CFA è utilizzato da 14 paesi africani con una popolazione complessiva di 160 milioni di abitanti ed un PIL di 235 miliardi di dollari.
Parigi prende tutte le decisioni importanti riguardanti il franco CFA e il franco comoriano, spesso senza nemmeno informare in anticipo gli Stati interessati. Ciò accadde nel 1994, con conseguenze drammatiche e contro il parere della maggior parte dei leader africani, quando la Francia decise di svalutare il franco CFA del 50%, modificando così, per la prima volta in quarantasei anni, la sua parità con il franco. Tutto ebbe inizio nei primi anni Ottanta con l'aumento dei tassi di interesse globali, il calo dei prezzi delle materie prime e la conseguente crisi del debito internazionale. I paesi della zona franco, che fino ad allora sembravano godere di una buona salute economica, furono duramente colpiti. Molto rapidamente entrarono in crisi i suoi due pesi massimi, Camerun e Costa d'Avorio.
Il FMI, che aveva già concesso prestiti a diversi Paesi e non vedeva arrivare i rimborsi, pretese allora un "aggiustamento reale", cioè una compressione della domanda interna attraverso una riduzione della spesa pubblica e delle importazioni, per riportare in pareggio i conti pubblici e il saldo esterno. Il tutto accompagnato con un "aggiustamento monetario" che dovette concretizzarsi attraverso una svalutazione del franco CFA.
Gli Stati della zona franco furono obbligati ad abbassare i prezzi garantiti ai produttori agricoli, le spese sociali e gli investimenti. Di fronte alle limitazioni del credito, accumularono arretrati nei pagamenti interni e il debito estero crebbe vertiginosamente.
Nel 1991, ad eccezione del Burkina Faso e del Ciad, tutti i paesi dell'area del franco CFA avevano un debito estero superiore al 100% del PIL: oltre il 600% in Guinea Equatoriale e Congo, oltre il 300% in Costa d'Avorio, oltre il 200% in Gabon, Mali e Camerun. Allo stesso tempo, gli investitori stranieri, approfittando della libera convertibilità del franco CFA e del libero trasferimento dei capitali, rimpatriarono massicciamente i loro profitti e disinvestirono. I leader africani non volevano una svalutazione: temevano le conseguenze economiche, sociali e politiche perché avrebbe avuto l'effetto di aumentare i prezzi dei beni e dei prodotti alimentari importati, di cui i loro paesi erano grandi consumatori, e quindi anche i prezzi interni.
Il potere d'acquisto sarebbe diminuito soprattutto nelle aree urbane. Il rischio era che emergessero tensioni sociali, tali da destabilizzare politicamente i poteri in carica. Un'altra conseguenza inevitabile; poiché i debiti erano fissati in valute estere, i loro importi in franchi CFA aumentarono. Soltanto i paesi agricoli potevano sperare in qualche conseguenza positiva: poiché i prezzi dei prodotti agricoli erano fissati in valute straniere, la svalutazione comportò un aumento del controvalore dei loro proventi da esportazione in franchi CFA.
All'inizio degli anni Novanta, poiché la situazione non migliorava, il FMI tornò alla carica con il suo progetto di svalutazione. Il tono di Parigi nei confronti dei partner africani cambiò radicalmente. Edouard Balladur scrisse ai Capi di Stato dichiarando che la Francia non avrebbe più concesso anticipi ai paesi che non avessero raggiunto un accordo con il FMI e la Banca Mondiale. Questa nuova politica, chiamata "dottrina Balladur", rese la svalutazione un passaggio necessario, poiché il FMI volle trattare solo con gli Stati che accettarono il principio della svalutazione. Alla mezzanotte del 12 gennaio 1994 la svalutazione divenne effettiva. Un franco CFA varrà 0.01 franchi francesi, contro i 0.02 di prima.
La Francia riuscì addirittura a prendere tre piccioni con una fava: grazie al tasso di svalutazione unico, mantenne intatta la sua zona franco. Secondo effetto; collaborando con il FMI e usandolo come paravento, riuscì a sfuggire al suo ruolo di garante; non dovette pagare nulla poiché non fornì la garanzia di convertibilità. Infine, il terzo dato; la svalutazione del 50% consentì di raddoppiare da un giorno all'altro la propria capacità finanziaria in franchi CFA. Il bilancio del Ministero della Cooperazione francese, che all'epoca ammontava a 8 miliardi di franchi francesi e che valeva 400 miliardi di franchi CFA prima del cambio di parità, aumentò così a 800 miliardi di franchi CFA.
In cambio dei finanziamenti promessi in caso di svalutazione, ogni paese fu costretto ad avviare riforme economiche attraverso "piani di aggiustamento strutturale", che comportarono la privatizzazione di aziende pubbliche - spesso a vantaggio dei gruppi francesi che trovarono una nuova linfa vitale - e tagli di bilancio significativi in vari settori (istruzione, sanità, agricoltura). Queste restrizioni di bilancio portarono, tra le altre cose, a licenziamenti di massa nel settore pubblico e a significativi tagli agli stipendi.
Dopo il 1994, la maggior parte dei paesi africani riprese a crescere. Tuttavia, sebbene la svalutazione abbia svolto un ruolo importante, non è stata la causa scatenante di questa ripresa. Ciò è avvenuto in un contesto di ripresa economica globale, aumento dei prezzi delle materie prime e buone condizioni economiche. Ciò fu facilitato anche dalle misure di accompagnamento adottate dalla Francia e dalle istituzioni di Bretton Woods che, tra le altre cose, consentirono di ridurre il debito estero. In generale la svalutazione non favorì la ripresa del settore industriale.
Ne beneficiarono soprattutto i paesi agricoli. Nonostante un aumento del 90% del prezzo dei fattori di produzione, il cacao ivoriano, ad esempio, tornò competitivo. Nella maggior parte dei paesi produttori di cotone, la revisione della parità del franco CFA si rivelò una manna dal cielo, in un contesto di aumento dei prezzi. Non altrettanto per i paesi importatori netti di riso, come il Senegal, che videro i costi crescere. In Togo la svalutazione causò carenze alimentari ed un aumento incontrollato dei prezzi, che interessò anche i prodotti locali oltre che un’impennata dei prezzi dei beni di consumo importati (cibo, medicinali).
Un altro episodio, che si verificò nella zona CEMAC tra il 2014 e il 2016, confermò che le autorità francesi mantenevano saldamente il controllo sul franco CFA. In quel periodo, i paesi produttori di petrolio della regione stavano vivendo l'inizio di una nuova crisi: il prezzo dell'oro nero crollò bruscamente, con una perdita di quasi il 50% in sei mesi. Gli effetti di questo crollo furono molteplici, con il petrolio che rappresentava oltre i tre quarti delle esportazioni regionali e la metà delle entrate di bilancio nel 2014.
Gli stati della zona CEMAC furono costretti a ridurre la spesa per investimenti e la crescita subì un forte rallentamento. In Guinea Equatoriale, il tasso di crescita divenne addirittura negativo: fu del -7,4% nel 2015, del -9,9% nel 2016. Idem nel Ciad. Tra il 2014 e il 2016, la crescita regionale scese dal 4,9% all'1,7% e il deficit di bilancio salì dall'1,8% del PIL al 9%. Il Camerun fu il Paese con le migliori performance, grazie alla sua economia relativamente più diversificata, con il petrolio che contribuiva solo al 10% del PIL. Tuttavia, come il Ciad, dovette aumentare la spesa militare per contrastare gli attacchi del gruppo armato Boko Haram.
Il livello delle riserve della CEMAC, depositate nel conto operativo presso il Tesoro francese, diminuì, passando da 4.974,4 miliardi di franchi CFA nel 2013 a 3.288,3 miliardi nel 2015. Nell'agosto 2016, il FMI stimò che avrebbe continuato a diminuire fino a raggiungere 1.988,4 miliardi di franchi CFA nel 2017. Alla fine di marzo 2016, la copertura delle riserve si ridusse a 3,9 mesi di importazioni future, che è inferiore al livello ritenuto adeguato (5 mesi) per un'unione monetaria ricca di risorse naturali e con un regime di cambio fisso. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) criticò la BEAC (banca degli stati dell’Africa centrale) di essere "troppo accomodante" nei confronti dei suoi Stati membri per via dei consistenti anticipi di bilancio; questa politica comportava la diminuzione delle riserve.
Anche a Parigi si disapprovarono le scelte della BEAC, che vennero considerate come l'inizio di una ribellione e ci si irritò per il comportamento di alcuni Capi di Stato. Il presidente ciadiano Idriss Déby irritò Bercy con le sue dichiarazioni anti-franco CFA: "Ci sono clausole obsolete", dichiarò nell'agosto 2015. "Queste clausole devono essere riviste nell'interesse dell'Africa e anche nell'interesse della Francia. Queste clausole stanno trascinando l'economia africana verso il baratro". Alle critiche del FMI, le autorità della CEMAC risposero di non poter rimanere passive di fronte alle difficoltà della regione. In particolare, sottolinearono che, in caso di esaurimento delle riserve valutarie, gli accordi con la Francia prevedevano che il Tesoro francese fornisse un sostegno finanziario per garantire il mantenimento della convertibilità del franco CFA. Tuttavia, come nel 1994, la Francia non intese svolgere il suo ruolo di garante, che l’avrebbe obbligata a mettere a disposizione della BEAC, una volta esaurite le sue riserve valutarie, l'importo in euro necessario per le sue operazioni esterne. Si rivolse invece al FMI con un obiettivo: incoraggiare gli Stati della CEMAC a contrarre prestiti.
L'idea fu di applicare nuovamente la "dottrina Balladur", come nel 1993, e quindi di subordinare l'aiuto di Parigi alla previa conclusione di un accordo con il FMI. Dal punto di vista dei leader africani, questa fu la soluzione peggiore: nessuno aveva dimenticato le condizionalità imposte negli anni Novanta dal FMI in cambio dei suoi crediti e la conseguente perdita di sovranità. Mentre il FMI ribadì la sua disponibilità ad "assistere" la CEMAC, il Ministero dell'Economia francese affermò che il Fondo Monetario Internazionale era effettivamente "l'unica soluzione". Il Presidente della Guinea Equatoriale, Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, pose domande imbarazzanti ai rappresentanti francesi. "Perché, ogni volta che siamo in difficoltà, non scatta mai la garanzia del Tesoro francese?" chiese in sostanza. Non ricevette alcuna risposta.
Dal punto di vista del FMI, l'operazione fu un successo: gli consentì di tornare in forze nella regione della CEMAC, dove la sua presenza mancava dall’inizio degli anni 2000. Nei mesi successivi, gli Stati della regione avviarono i negoziati con il Fondo monetario. Il Ciad, ad esempio, otterrà un prestito di 255 milioni di euro in tre anni. In cambio, dovette impegnarsi, tra le altre cose, a ridurre la spesa pubblica, il che si tradusse in tagli agli stipendi dei dipendenti pubblici. La Francia, come nel 1994, non dovette svolgere il suo ruolo di garante. Soprattutto, il ritorno del FMI contribuì a ridurre l'influenza della Cina, diventata troppo presente nella regione agli occhi dell'Occidente. Finché un paese è soggetto a un programma del FMI, gli è vietato contrarre prestiti con paesi o entità senza il suo previo consenso. La Nigeria aveva escluso qualsiasi ricorso ai crediti e ai programmi di aggiustamento del FMI come soluzione ai suoi problemi economici e finanziari. Preferì chiedere il sostegno di bilancio alla Banca Africana di Sviluppo (BAD) per attuare un programma di riforme.
La prima tranche del credito concesso fu erogata senza problemi, ma l'Occidente fece uso della sua influenza per subordinare il pagamento della seconda tranche ad una valutazione preventiva del programma di riforme del Paese. Anziché ottemperare a questo diktat, le autorità nigeriane preferirono rivolgersi alla Cina. Pechino accettò di prestare loro una somma molto maggiore di quella promessa dalla Banca Africana di Sviluppo.
Le valute emesse dalla BCC (banca centrale delle Comore), dalla BEAC (banca degli stati dell’Africa centrale) e dalla BCEAO (banca centrale degli stati dell’Africa Occidentale) hanno ciascuna il proprio codice valutario: rispettivamente KMF, XAF e XOF. Il franco CFA è stata l'arma principale dello Stato francese per garantire la continuità del sistema di dominazione della "Françafrique”. Grazie ad esso, la Francia ha potuto estrarre risorse significative dal continente africano, tra cui alcune materie prime strategiche, mentre le sue aziende si sono sempre aggiudicate facilmente commesse ed hanno sempre avuto la possibilità di rimpatriare liberamente i propri profitti in Francia. Un altro evento importante fu l’elaborazione del Contratto di riduzione del debito e di sviluppo detto C2D.
Questo meccanismo fu creato nel 2001 in seguito alla decisione dei paesi creditori di cancellare i debiti dei paesi poveri fortemente indebitati (HIPC). Mentre altri creditori cancellarono i debiti bilaterali contratti dai loro partner, la Francia scelse di convertirlo in un modo molto particolare, tramite l'Agenzia Francese per lo Sviluppo (AFD), un'istituzione pubblica francese per il finanziamento dello sviluppo: una volta che, un paese povero fortemente indebitato, avesse firmato un C2D con l'AFD, avrebbe dovuto continuare ad onorare il proprio debito fino al suo rimborso e, ad ogni scadenza, l'AFD avrebbe versato al paese l'importo corrispondente sotto forma di sovvenzione. Questo venne anche utilizzato per finanziare programmi di riduzione della povertà. L'AFD controllava l'intero processo, partecipando alla selezione dei settori da finanziare, controllando gli appalti e commesse. Le aziende che beneficiarono dei contratti finanziati da questo meccanismo furono essenzialmente francesi.
Per il primo C2D (520 milioni di euro) concluso nel 2006 con Yaoundé, l'88% dei progetti stradali è stato assegnato ad entità francesi, tra cui una filiale di Vinci. Nell'ambito del secondo C2D (327 milioni di euro) firmato nel 2011, la consulenza e l'assistenza tecnica per i progetti nel settore agricolo furono affidate ad organizzazioni tutte francesi. L'AFD giustificò questa predominanza con il fatto che i gruppi francesi operavano da tempo in Camerun ed avevano, di conseguenza, acquisito competenze e fonti di approvvigionamento di materiali più efficienti rispetto ai loro concorrenti. I prestiti francesi agevolati dal sistema CFA e dai C2D consentirono quindi alle aziende francesi di consolidare le loro posizioni storiche e i loro monopoli.
Tutto ciò a scapito dello sviluppo della rete imprenditoriale locale. In generale, la zona franco ha rappresentato un terreno molto redditizio per le grandi aziende francesi. Ciò fu anche dovuto al fatto che gli Stati africani non sono mai stati in grado di industrializzare le proprie economie e quindi di trasformare le materie prime in modo da soddisfare i mercati interni.
Nonostante ciò, le aziende francesi a partire degli anni 2000, si trovarono ad affrontare una forte concorrenza nel loro "cortile di casa", con l’avanzare di Cina e India e il dinamismo di paesi africani come il Marocco. Le loro quote di mercato diminuirono. Tra il 2000 e il 2011, la Francia ha visto la sua quota di mercato in Africa dimezzarsi, passando dal 10,1% al 4,7%, mentre quella della Cina è aumentata di otto volte tra il 1990 e il 2011, passando dal 2% al 16%. Nel 2013, la Cina l'ha superata nell'area del franco CFA; la sua quota di mercato era del 17,7%, rispetto al 17,2% della Francia. Nel caso in cui il franco CFA si fosse staccato dall'euro, il calo sarebbe stato più pronunciato.
Recenti risultati tendono a smentire la tesi che il franco CFA sia generatore di sviluppo. Se si esaminano le statistiche sul lungo periodo, si nota che il reddito medio per abitante nel 2016 è inferiore di oltre un terzo a quello della fine degli anni Settanta. In Gabon, ad esempio, il reddito medio più elevato risale al 1976; era di poco inferiore ai 20 mila dollari. Quarant’anni più tardi è sceso della metà. Negli ultimi decenni, il potere medio d’acquisto si è degradato praticamente dappertutto. La Guinea Bissau è un caso emblematico: raggiunse la UEMOA nel 1997, anno che corrisponde al picco del suo reddito medio. Vent’anni dopo, quest’ultimo è calato del 20%. L’esame degli indicatori relativi alla salute e all’istruzione conferma che i progressi socioeconomici nella zona franco sono deboli: dodici dei quindici stati africani della zona franco sono classificati tra i paesi “con sviluppo umano basso”.
L’indice di sviluppo umano, previsto dal programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo e basato sul reddito medio per abitante, la speranza di vita alla nascita e il livello scolastico piazza, nel 2015, negli ultimi quattro posti rispettivamente il Burkina Faso (185), il Ciad (186), Niger (187) e Repubblica Centrafricana (188). Inoltre, dieci paesi della zona franco fanno parte del gruppo che le Nazioni unite definiscono “paesi meno avanzati” (PMA), che raggruppa paesi con meno di 75 milioni di abitanti, che hanno un debole reddito pro-capite, uno sviluppo umano basso e che presentano una grande vulnerabilità economica. In tutto si tratta di 47 paesi, di cui 33 situati nell’Africa subsahariana.
All’interno della zona franco il Benin, il Burkina Faso, il Niger, il Mali ne fanno parte. Sono stati raggiunti dalla repubblica Centrafricana (1975), le Comore (1977), la Guinea Bissau (1981), il Togo e la Guinea Equatoriale (1982). Il Senegal ha raggiunto il gruppo nel 2000. Il fatto che tutti questi paesi facciano parte delle PMA ancora oggi, testimonia che non c’è stato uno sviluppo economico degno di questo nome. A causa di ciò molti autori hanno definito il franco CFA come la moneta delle PMA, cioè dei paesi poveri.
È evidente che il franco CFA non è il solo responsabile del sottosviluppo e che altri paesi africani non hanno fatto meglio. Ma è incontestabile che l’argomento secondo il quale il franco CFA abbia favorito crescita e sviluppo sia falso.
Fonti:
Fanny Pigeaud et Ndongo Samba Sylla: L’arme invisible de la Françafrique
Kako Nubukpo: Demain, la souveraineté monétaire?
Kako Nubukpo: Une solution pour l’Afrique
Julien Wagner: Chine Afrique, le grand pillage
Sega Diarrah: Wagner au Mali: une ombre russe au Mali
Pascal Airault: Jean Pierre Bat: Françafrique, opérations secrets et affaires d’état
Robert Bourgi: Ils savent que je sais tout
