Riformismo cercasi. A sinistra si è perduto il senso della resistenza e smarrito quello della storia
Istituzioni ed economia

Il 25 aprile ha purtroppo nuovamente mostrato, nonostante tre anni e più di invasione russa, che la sensibilità culturale e politica della sinistra sulla parentela morale tra la resistenza italiana e la resistenza ucraina rimane pressoché inesistente. A sinistra non viene colta l'analogia con una grande lotta di resistenza, che pure appare quanto mai evidente: l'Ucraina merita il suo 25 aprile, non riconoscerlo è frutto della degenerazione di un perduto senso della storia.
Oppure, c'è di più? Dietro il rifiuto cognitivo di una comparazione quasi fisiologica potrebbe nascondersi una intrinseca debolezza socioculturale, che trascina con sé magari uno scarso senso di giustizia e libertà? Verrebbe da pensare che il mistero possa essere risolto solo inforcando le lenti dell'ideologia, cioè guardando dal di dentro la più spaventosa delle bancarotte intellettuali, che conduce al male nelle maniere più banali, costringendo alla cecità anche personalità con qualità importanti, apparentemente in possesso di tutti gli strumenti per comprendere i fenomeni sociali. Un caso di resistenza perduta, dunque, tratto distintivo della sinistra nazionale, che si porta dietro uno smarrimento storico perpetuato da vittime dell'ideologia, spesso inconsapevoli, che bypassano logica e ragione con l'ottusità di convinzioni che niente hanno a che vedere con la positività dell'idealismo.
A Torino, l'ANPI è addirittura arrivata ad escludere dal corteo vari gruppi di "provocatori", dove le "provocazioni" sarebbero state le bandiere ucraine ed europee, oltre a uno striscione che evocava le resistenze parallele degli italiani contro i nazifascisti e degli ucraini contro gli invasori russi. Aggredendo queste persone, si è attaccata l'idea stessa di resistenza contro le oppressioni, rinunciando alla solidarietà nei confronti di chi oggi lotta per democrazia e libertà.
Sarebbe stato bello ascoltare almeno alcune parti della sinistra italiana dire con forza che zittire e escludere chi innalza le bandiere dell’Ucraina o dell’Europa è un comportamento da fascisti, che tradisce il significato della Liberazione. Non c’è resistenza all’oppressione in giro per il mondo che possa farcela senza il necessario aiuto esterno per combattere le autocrazie e gli autocrati. Non riconoscere questo principio e questa verità, non esprimere una presa di posizione netta e solidale, significa fare, volontariamente o involontariamente, il gioco di chi prova simpatie per dittatori, invasori e terroristi.
Rosso o nero che sia, il prodotto finale è un attacco ai capisaldi della democrazia liberale e dello stato di diritto, anche se lo si porta con la retorica apparentemente bonaria del pacifismo. Il pacifismo (concettualmente ben diverso dalla nonviolenza) è una percettività ideale lodevole - almeno nelle intenzioni di molti - ma resta intellettualmente acerbo, come dimostra l'evidenza dei suoi risultati, cioè il perpetuarsi di distruzione e massacri. E questo i pacifisti di sinistra, anche e soprattutto in buonafede, devono capirlo: la politica non può trasformarsi in psicologia di massa, ma rendere conto dei vincoli.
Sarebbe stato poi importante vedere una maggiore opera di sensibilizzazione, in tanti ambienti della sinistra italiana, nei confronti della giornalista ucraina Viktoria Roshchyna, esempio di libertà e di libera informazione, rapita dai servizi segreti russi e morta in carcere. Il suo corpo è stato restituito senza cervello, bulbi oculari e parte della trachea, nascondendo in tal modo le violentissime torture a cui è stata sottoposta.
I servizi russi sempre più si avvalgono di metodi criminali, reclutando ragazzi e adolescenti attraverso strumenti come Telegram per compiere attentati e spesso traendoli in inganno, azionando ad esempio gli ordigni a distanza prima del previsto. Raccontare, soprattutto da parte di chi si pone a sostegno dei più deboli, diverrebbe utile per convincere chi rimane esitante nel sostegno all'Ucraina.
Restando ancora al 25 aprile, ogni anno fanno discutere (giungendo, anche qui, in alcuni casi alle aggressioni) le presenze delle bandiere di Israele alle manifestazioni. Ma c’è una ragione storica precisa per la loro presenza: nel 1944, oltre 5000 ebrei che vivevano in Palestina sotto il Mandato Britannico formarono la Brigata Ebraica per andare in Italia a combattere contro i nazisti, sotto il vessillo sionista, oggi bandiera d’Israele, contribuendo a liberare il Paese e aiutando i sopravvissuti della Shoah.
Perché la sinistra, con i suoi silenzi, contribuisce a corrodere e stravolgere la memoria storica? Perché non cercare di spiegare, piuttosto che omettere? Questo è uno dei molteplici esempi che vanno compresi a partire dall’abdicazione della sinistra italiana al proprio ruolo, con riguardo - pure - al drammatico scenario mediorientale.
Non riuscendo a sgombrare il campo dalle ambiguità, se sionismo diventa sinonimo di violenza usurpatrice, il millenario sentimento antisemita continua a sedimentarsi e ampliarsi. Eppure, basterebbe ridare il giusto spazio all'equilibrio: Liliana Segre, con parole insieme sagge, intelligenti e sensibili, ha sostanzialmente esposto tutto quello che c'era da dire.
Descrivendo come "mostruoso" il fanatismo teocratico e sanguinario di Hamas, ha affermato di provare una "profonda repulsione" verso governo Netanyahu e destra estremista, senza per questo confondere un esecutivo democraticamente eletto con un gruppo terroristico. Se è vero che dopo un trauma come quello del 7 ottobre qualunque governo israeliano avrebbe reagito con durezza, la guerra a Gaza ha avuto connotati di ferocia inaccettabili e non è stata condotta nel pieno rispetto del diritto internazionale. Allo stesso modo, i crimini del governo Netanyahu non possono diventare pretesto per sdoganare un antisemitismo mai sepolto. Il che non significa non poter criticare, anche duramente, l'esecutivo israeliano.
Ma le condotte censurate non possono essere imputate all’intero popolo ebraico, né a tutti quelli che vivono in Israele né a tutti quelli della diaspora, che neppure sono israeliani. Abbiamo mai sentito, dal 7 ottobre, un simile e ponderato ragionamento da parte dei più influenti segmenti della sinistra culturale? A questo si aggiunge, in maniera sostanziale e come elemento decisivo, il mancato coraggio nel sostegno ai palestinesi che manifestano contro Hamas. Si tratta della speranza più concreta da alimentare: almeno, se si ha a cuore il popolo palestinese, bisogna dare il più possibile voce a chi lotta contro la tirannia di Hamas, rischiando di essere ucciso. Aprire gli occhi alle persone, informare, parlare per esempio di Zakaria al-Jamasi, che cercando di opporsi all'utilizzo di una scuola nido di Gaza City come scudo e rifugio umanitario è stato trucidato dai terroristi. O ancora, di Susan Abdelqader Bishara, attivista arabo-israeliana del movimento Woman Wage Peace, assassinata nella sua macchina a Tira, città al centro di Israele abitata a 99,9% da arabi, ennesima voce di pace spenta dalla violenza.
Sostenere i gazawi che contro Hamas ci raccontano cosa accade, come Hamza Howidy, fuggito da Gaza dopo due arresti, che è venuto in Italia a raccontare come Hamas abbia reso Gaza una prigione, è quello che dovrebbe fare una sinistra pragmatica e consapevole del proprio retaggio. Howidy si è chiesto dove sono gli intellettuali e attivisti (occidentali, per la verità), soprattutto a sinistra, che sostengono i gazawi che vorrebbero liberarsi e hanno manifestato contro Hamas e per pace giusta. La sinistra italiana non ne ha parlato, non ne sta parlando. Eppure, i giovani gazawi continuano a scendere in piazza a centinaia, i medici palestinesi denunciano il terrorismo e ora anche Abu Mazen chiede liberazione degli ostaggi e il disarmo di Hamas.
Se pure il governo di Israele non volesse un dialogo con queste forze moderate – per Netanyahu non seguire Ben Gvir e Smotrich sulla linea della occupazione di Gaza e del controllo diretto per lungo tempo della Striscia, potrebbe significare perdere il potere e affrontare un destino incerto anche dal punto di vista giudiziario – è evidente che legittimazione, inclusione e sostegno delle forze palestinesi laiche e moderate su vasta scala costringerebbe anche gli israeliani più riluttanti a ascoltare la loro voce.
La sinistra italiana sembra incapace di orientare questo scatto culturale nel Paese, con l'enigmaticità della sua frammentazione e gli equivoci che non riesce a sciogliere, nel suo ruolo di contenitore sistemico. Debolezze ideologiche che continuano a propagarsi anche in scenari tutti di politica interna: è passato anche il Primo Maggio, si è tornati a parlare quindi di lavoro. Il dibattito attorno ai 4 referendum sul lavoro dell'8 e 9 giugno promossi dalla Cgil (se ne votano cinque: non dimentichiamo quello sulla cittadinanza promosso da +Europa e sostenuto, tra gli altri, da numerose associazioni della società civile, ma rimosso dai media) sembra avere i connotati di una pura resa dei conti intestina. Sinistra fuori dal tempo contro ciò che rimane del riformismo più attuale e moderno: uno scontro interno per così dire “spaziotemporale”, che si ripropone a ogni livello contro i vincoli di realtà, i dati di fatto e la razionalità.
