Meloni Trump 1 grande copia 

All’indomani della visita di Giorgia Meloni a Washington sembra vi siano opinioni quasi unanimi nel considerarla un successo. È difficile prendere davvero sul serio questa lettura. Meloni non ha ottenuto nulla di concreto, salvo forse una visita di Trump a Roma - nella prospettiva del presidente Maga - da “imperatore nella provincia di una governatrice sua compiacente sostenitrice”.

Non ha invece ottenuto alcun risultato tangibile in termini di dossier negoziali specifici e di ricomposizione della fiducia ormai forse irreversibilmente incrinata (da Trump e dal suo arbitrio) tra USA e Europa. Non convincono certo le sfumate dichiarazioni che sfidano il principio di non contraddizione sulla "Ucraina vittima dell’invasione russa" e sul "lavorare insieme a una pace giusta" pronunciate seduta a fianco del presidente americano, nelle ore in cui la sua amministrazione si muove in direzione opposta, votando all’Onu insieme a Russia e Corea del Nord contro una risoluzione sulla cooperazione per la difesa della stato di diritto, in cui si condannava anche l’aggressione all’Ucraina, né i facili slogan sul “make west great again”.

Né Meloni ha messo l’Italia in una particolare posizione di vantaggio o di utilità tra le due aree politiche ed economiche sulle sponde dell’Atlantico, nel contesto caotico di ridefinizione delle relazioni commerciali e finanziarie globali, scatenato dalla “guerra dei dazi” di Trump. L’Italia è un paese fiscalmente dipendente dalle garanzie europee, e le cui catene del valore e industriali sono strutturalmente connesse con l’area euro.

Politicamente la penisola non può prescindere dai destini europei, banalmente perché è parte della geografia europea, in uno scenario dove la geografia è tornata fattore centrale. Sulle partite sostanziali, che si espliciteranno già nei prossimi mesi (quando anche la Germania a guida di Friedrich Merz sarà tornata in prima linea nella definizione delle strategie europee) l’Italia non potrà continuare a lungo con questa postura ambigua: si troverà a dover decidere tra una sudditanza compiacente agli arbitrii dell’America Maga o se giocare un ruolo attivo in un’Europa alle prese con la definizione di una propria “autonomia strategica”, economica, militare e forse politica. Insomma, da italiani continuiamo a credere di essere più furbi degli altri in tornanti così centrali della storia, e a entusiasmarci in modo provinciale quando qualcuno degli attori globali ci rivolge un po’ di adulazioni.

Ma rischiamo come tante altre volte di trovarci impreparati, deboli e marginali e costretti a subire le scelte prese da altri, in circostanze incerte e pericolose per il nostro futuro