Un quarto di secolo fa, quando si affacciò inopinatamente nel cielo del potere russo, durante la stagione del caos tardo-eltsiniano, Vladimir Putin guadagnò subito presso le cancellerie occidentali la fama di interlocutore affidabile. A dir la verità un analogo riconoscimento qualche anno più tardi fu generosamente tributato anche a Dmitrij Medvedev, quando fu spedito a fare per un mandato presidenziale il segnaposto putiniano al Cremlino. Potenza delle illusioni.

Questa fama di pragmatico intemperante e manesco, ma solido e fidato per il business energetico e strategico, ha continuato ad accompagnare Putin fino al 24 febbraio 2022 e per moltissimi anche dopo, in base a un wishful thinking prima tragico e poi disonesto dilagato in larga parte dell’Occidente e nell’intera politica italiana: Putin non poteva che essere ciò che speravamo fosse, a prescindere da tutto quello che nel frattempo il puparo di Mosca metteva in campo nella sua guerra contro l’Occidente e la democrazia liberale.

Con Trump, mutatis mutandis, si rischia di commettere lo stesso clamoroso errore, che è poi quello stupidamente “realistico” di presumere che nel ballo in maschera del potere, democratico e no, nessuno dica quello che pensa, né pensi quello che dice e che quindi la politica “reale” sia quella nascosta e protetta dai giochi di specchi delle parole e delle idee con cui i potenti del mondo si trastullano, per prendere voti galvanizzando e imbrogliando gli elettori nelle democrazie, o per stabilizzare un consenso estorto con la violenza e il ricatto nelle autocrazie.

Invece - guarda un po' - la politica è proprio tutta nello spettacolo del potere, nelle idee che manifesta e nelle azioni che compie, che raggiungano o meno il fine prefissato. 

Abbiamo creduto che Dugin e tutta la compagnia di giro di profeti e santoni del nuovo imperialismo russo fossero solo i buffoni di corte del nuovo zar, invece dicevano la “verità” che Putin si è incaricato di esportare in tutto l’est europeo post-sovietico e hanno restituito una vocazione imperiale e una politica di potenza a una nazione economicamente e demograficamente morta.

Adesso si fa a gara a credere che tutti gli ideologi del trumpismo siano solo i clown del circo Maga e non invece i veri impresari della nuova ideologia della destra globale e i compari e concorrenti di Putin nella guerra nichilista allo stato di diritto, alla società aperta, ai fondamenti costituzionali e morali delle liberal-democrazie. E facciamo pure finta di credere che Elon Musk e le sue futurologie tecno-populiste siano alla fine della fiera una eresia radical-libertaria e non neo-totalitaria. Un Casaleggio, ma con i satelliti, i miliardi a bizzeffe e ora anche i missili della maggiore potenza militare del mondo, affidati alle cure di un tronista di seconda fila di Fox News.

L’unica vera differenza tra Putin e Trump è che Putin può fare quello che vuole – cioè esattamente quel che pensa e che dice – e Trump invece deve fare i conti con una Costituzione solida e una società articolata e irriducibile ad unum, dunque non così facile da piegare a forza di botte o da convincere solo con robuste dosi di vodka a buon mercato e retorica nazionalista.

Non è una ragione per confidare nell'inoffensività di Trump, piuttosto per continuare ad avere fiducia nell’America, che molto difficilmente il golpista rieletto riuscirà a distruggere e a trasformare nel cortile del suo Cremlino di Mar-a-Lago.