Premierato, autonomia differenziata, legge elettorale. Parla Cassese
Istituzioni ed economia
Intervista al Professor Sabino Cassese, tra i più celebri giuristi italiani, già Ministro per la funzione pubblica e giudice della Corte costituzionale, oggi editorialista di spicco del Corriere della Sera. Con Cassese si è discusso delle tematiche più attuali in materia di riforme costituzionali e di impianto istituzionale, e cioè Premierato e legge sull'Autonomia differenziata, con focus sulla futura legge elettorale. Una mappa per orientarsi, insomma, nel solco della riforma dei partiti e dell'applicazione dell'articolo 49 della Costituzione.
Professore, può farci una panoramica sull'iter del Premierato, che il mese scorso ha visto la sua prima approvazione in Senato? Cosa dobbiamo aspettarci da questa proposta, qual è il contenuto tecnico del disegno della riforma e quali le criticità, già fatte notare da molti?
Nella preparazione del provvedimento, la maggioranza governativa aveva intenzione di introdurre un sistema presidenziale, quindi non il premierato, bensì una elezione diretta del Presidente della Repubblica. Si è infine giunti alla conclusione di pensare a una elezione diretta del Presidente del Consiglio perché il problema da risolvere è quello della stabilità dei governi e del potere della Presidenza del Consiglio di assicurare coerenza dell'azione di Governo in un Paese che non è caratterizzato dal bipartitismo, ma dal multipartitismo. L'Esecutivo ha quindi presentato un disegno di legge costituzionale, che ha subito delle modifiche nel corso della prima parta del processo parlamentare. Le modifiche vanno nella direzione giusta, ma non sono sufficienti. Sarebbe ad esempio utile - anzi, indispensabile - determinare la soglia dalla quale partirà il premio di maggioranza, o ancora, definire il sistema di ponderazione del voto per gli italiani che vivono all'Estero (problema che esiste, soprattutto dopo il taglio dei parlamentari). La formula elettorale, che consiste nel trasformare i voti in seggi, è quindi un elemento decisivo. Altri aspetti andrebbero chiariti, come quello del ballottaggio, cioè della doppia elezione. Riassumendo, il sistema del Premierato, che io ritengo utile per assicurare stabilità e coerenza delle coalizioni di Governo, è in qualche modo messo nella strada giusta, richiedendo tuttavia delle modifiche. A mio parere queste sono possibili: ci sono dei segnali positivi, la maggioranza pare disponibile. Questo è, in sintesi, il bilancio che si può fare oggi.
Per quanto concerne invece la legge quadro sull'Autonomia differenziata, a differenza del Premierato già approvata definitivamente, non trattandosi di una riforma costituzionale, le chiedo una analisi sui principali aspetti della norma, pregi e limiti.
Come ha detto, il tema dell'autonomia differenziata non richiede modifiche costituzionali, poiché si tratta di dare attuazione a norme costituzionali, in modo particolare agli articoli 116 e 117. Si tratta di una modifica costituzionale già fatta nel 2001 dal centrosinistra. Nella legge di bilancio per il 2023 e successivamente in quella proposta dal Ministro Calderoli e poi approvata vengono messi in relazione i due articoli della Costituzione. Questi prevedono la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, uniformi su tutto il territorio nazionale, in tutte le materie o funzioni che riguardino diritti civili e sociali. Questa norma - appunto introdotta nel 2001 in Costituzione - stabilisce infatti che esistono condizioni essenziali che vanno rispettare in tutto il territorio nazionale. Si dispone poi la possibilità di offrire condizioni particolari di maggiore autonomia alle regioni che ne facciano richiesta in specifiche materie, e che ciò avvenga mediante un accordo della regione coinvolta con il governo centrale. Le due posizioni sono state messe insieme al fine di assicurare che nel concedere maggiore autonomia ad alcune regioni non si facciano trattamenti differenziali per quel che riguarda i diritti civili e sociali. Con una formula: garantire una piattaforma comune per tutti, prima di riconoscere maggiore autonomia ad alcune regioni. L'autonomia comporta, ovviamente, una differenziazione. Puglia e Lombardia, per prendere due regioni, hanno già oggi potestà legislativa in materia agricola, adottando leggi diverse, perché l'agricoltura delle due regioni è diversa. Senza considerare le 5 regioni a statuto speciale, che hanno maggiore autonomia rispetto alle altre. La differenziazione non è contraria al dettato costituzionale, la cosa fondamentale è però garantire, come previsto dalla Costituzione, il rispetto dei LEP in maniera uniforme in tutto il territorio nazionale. Il dettato costituzionale lo vuole tanto garantire che non solo lo prevede nell'art 117, ma prevede inoltre, all'articolo 120, che il Governo possa intervenire sostituendosi alle regioni se le regioni non rispettano i LEP. Ora, la legge cosiddetta Calderoli non delinea altro che un percorso per realizzare questo obiettivo, cioè conferire maggiore autonomia ad alcune aree sulla base di accordi con il governo nazionale purché vengano prima rispettati i LEP nelle materie e funzioni che attengono i diritti civili e sociali. Questo lo stato della questione, che dovrebbe invitare le forze politiche a mettersi ad un tavolo per ragionare su ogni singola regione, studiandone i più adeguati criteri, in maniera tale che poi, in prospettiva, le best practices vengano seguite dalla totalità delle regioni.
Facendo un passo indietro e tornando al Premierato, la valutazione - in qualche modo lo accennava lei stesso prima - non può prescindere da una discussione attorno a quella che sarà la legge elettorale. I risultati internazionali più recenti (elezioni nel Regno Unito prima, doppio turno delle legislative francesi poi) hanno mostrato plasticamente come il criterio elettoralistico faccia molta differenza per esiti e composizione stessa degli equilibri parlamentari. Intanto le chiedo se questa discussione in merito c'è, e qual è il modello che considera personalmente come più corretto, se la riforma dovesse passare?
I costituenti nel 1948 preferirono non costituzionalizzare la legge elettorale, una decisione saggia, che auspico venga rispettata. Ciò non vuol dire naturalmente che nella Costituzione non esistano alcuni principi: la legge elettorale, e noi ne abbiamo avute numerose, dovrebbe seguire tali principi fondamentali, definiti chiaramente dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. Una buona legge elettorale deve assicurare una adeguata rappresentatività, nel tradurre i voti in seggi, e una stabilità governativa, cioè la governabilità del Paese. Le formule sono numerose: sarà prioritario e di fondamentale rilevanza stabilire, come detto, la determinazione della soglia dalla quale far partire il premio di maggioranza.
L'articolo 49 della Costituzione parla dei partiti: non esiste ancora una legge chiara che ne organizzi la partecipazione. In questo contesto, che cosa si potrebbe fare di più, per far sì che l'articolo venga chiaramente applicato, dandogli il senso che merita?
L'articolo 49, che recita che tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico alla formazione della vita politica nazionale, non contiene, a differenza dell'articolo che riguarda i sindacati, una riserva di legge - quindi non rinvia a una legge. Tuttavia, nel corso del dibattito parlamentare numerosi parlamentari e poi studiosi (su tutti Costantino Mortati) hanno auspicato una legge sui partiti. Numerose proposte sono state fatte, ma nessuna è riuscita a raggiungere la conclusione. Il problema odierno dei partiti però non riguarda le leggi, ma è molto più grave, e come tale non può essere risolto da una normativa. Siamo davanti all'inconsistenza delle stesse forze partitiche: per lungo tempo nel secondo dopoguerra gli iscritti erano l'8% degli italiani, oggi sono inferiori al 2. Il numero degli iscritti ai tre principali partiti della Prima Repubblica superava i 4 milioni, mentre attualmente il numero totale complessivo degli iscritti non supera le 700.000 persone. C'era un fortissimo radicamento sociale e territoriale, DC e PCI avevano qualcosa come 20.000 sedi, che per 8000 comuni significava avere sezioni a tutti i livelli. Il vero problema odierno è l'incapacità dei partiti di progettare un'offerta politica che incontri una domanda politica soddisfacente, in modo da rappresentare una parte consistente della popolazione. Oggi I congressi nazionali si sono rarefatti, e il partito che ha più iscritti ne ha circa 200.000 - secondo dichiarazioni della stessa forza politica, che non sono verificabili. Certamente c'è bisogno di una legge, ma il presupposto fondamentale non può essere assicurato con una norma. Esiste un problema più profondo di aggregazione della cittadinanza in partiti, e quindi della realizzazione di quell'obiettivo ultimo presentato dalla Costituzione, il diritto all'associarsi in partiti.