Legalizzare e decriminalizzare il consumo di droga potrebbe, secondo stime autorevoli e ragionevoli, portare l’Italia a migliorare la situazione sanitaria e a risparmiare miliardi di euro. Non certo un risultato da buttare via, vista la situazione del bilancio statale.

Deluca sacchetti sito

Il più famoso trafficante di droga della storia si chiamava Pablo Escobar e all’inizio degli anni Novanta la sua organizzazione criminale controllava l’80 per cento del traffico di cocaina del mondo. L’uomo che lo fece uccidere si chiama César Gaviria e fu presidente della Colombia dal 1990 al 1994. Gaviria condusse una vera e propria escalation nella “guerra alla droga”, collaborò con l’esercito americano e creò gruppi di paramilitari per dare la caccia ai signori della droga. Gaviria era un duro, ma vent’anni dopo aver fatto uccidere Escobar ha sviluppato un’idea originale su come combattere il traffico di stupefacenti: “Se volete sapere come gestire il problema della droga, guardate a cosa fanno in Colorado e Portogallo”, ha detto in un recente documentario dell’Economist. Colorado e Portogallo sono due paesi dove, rispettivamente, le droghe leggere possono essere liberamente vendute e dove tutte le droghe, leggere e pesanti, sono state decriminalizzate.

“La guerra alla droga ha fallito”
In un articolo che ha fatto molto discutere, pubblicato lo scorso marzo sul Guardian, il leader dei LibDem inglesi Nick Clegg e l’imprenditore Richard Branson hanno scritto che la guerra alla droga ha fallito. Negli ultimi quarant’anni, gli Stati Uniti, che più di ogni altro paese al mondo si sono impegnati a lottare contro il traffico di droga, hanno speso più di mille miliardi nella “war on drugs”, ma questa spesa non ha prodotto risultati sostanziali.

Non sappiamo quanto sia costata la “guerra alla droga” in Italia, ma sappiamo che è una voce che pesa ogni anno sul nostro bilancio per diversi miliardi. Su più di 50mila detenuti, quasi 20mila sono in carcere per reati legati alla droga. Secondo le stime del Dipartimento antidroga, questa politica repressiva costa più di un miliardo e mezzo di euro l’anno, di cui la metà vengono spesi dal sistema carcerario. Altri sette miliardi l’anno sono spesi in trattamenti sanitari ai tossicodipendenti. In un’epoca di crisi economica e stagnazione, mentre il nostro paese fatica a far quadrare i conti ad ogni Legge di Stabilità, in molti ritengono che sia arrivato il momento di pensare a un nuovo modello per gestire il consumo e la vendita di sostanze stupefacenti.

L’esperimento a cui tutti stanno guardando negli ultimi tempi è quello del Colorado, uno stato americano che dal primo gennaio del 2014 ha reso legale produrre e vendere la marijuana a scopo ricreativo. Oggi in Colorado potete entrare in un negozio, arredato alla moda e con impiegati cortesi come un Apple Store, e scegliere tra decine di varianti diverse la marijuana che preferite. Secondo le prime stime, pubblicate lo scorso aprile, in Colorado, con una popolazione di circa cinque milioni di persone e un consumo di marijuana pari a 130 tonnellate l’anno, lo stato ha incassato 69 milioni di dollari dalla tassazione sulla marijuana, di cui circa 20 milioni sono andati a finanziare l’edilizia scolastica.

È un risultato che ha lasciato molte persone insoddisfatte. Il governatore del Colorado aveva stimato che la tassazione diretta sulla marijuana avrebbe generato tasse per quasi il doppio. Il problema, a quanto pare, è che circa la metà del consumo di marijuana avviene ancora sul mercato nero oppure utilizzando licenze mediche che permettono di comprare marijuana tassata ad un livello inferiore rispetto a quella per uso ricreativo.

Se questo risultato è stato abbastanza deludente, il blog The Upshot, sul New York Times, ha scritto che la raccolta fiscale è destinata probabilmente a salire. La produzione illegale di marijuana è tendenzialmente più costosa e meno efficiente di quella industriale e con il passare del tempo le società che producono marijuana in Colorado cominceranno a sfruttare economie di scala e quindi a produrre con costi sempre più competitivi fino a che, probabilmente, elimineranno dal mercato la produzione illegale. Le imposte dirette sulla vendita sono comunque soltanto un lato della medaglia.

La legalizzazione ha portato all’emersione di tutta la filiera della produzione della marijuana: produzione, commercio al dettaglio, ricerca di nuove varianti e di prodotti correlati (olii alla marijuana, dispenser automatici, vaporizzatori). Già oggi l’industria della marijuana ha creato 16 mila nuovi posti di lavoro in tutto lo stato, il che significa nuovi lavoratori, nuove industrie e nuovo indotto.

Il Colorado è l’esempio più ovvio da fare quando si parla dei vantaggi che potrebbe avere la legalizzazione delle droghe, ma nella sua intervista Gaviria ha parlato anche di un altro caso, quasi sconosciuto, sebbene altrettanto interessante: la decriminalizzazione di tutte le droghe avvenuta in Portogallo, una storia a cui ha dedicato un approfondito articolo Giovanni Zagni, su Linkiesta. Dal 2001, in Portogallo il consumo e il possesso di quantità anche abbastanza considerevoli di droghe (tutte le droghe: dalla marijuana all’eroina) non è più un reato, ma un illecito amministrativo, come parcheggiare in divieto di sosta - e tra l’altro è un illecito che viene multato soltanto nel quindici per cento dei casi. La strategia del Portogallo ha permesso di spostare risorse dalla persecuzione dei consumatori a quella dei trafficanti e di rafforzare tutte le attività di prevenzione per tutelare la salute dei tossicodipendenti.

Secondo alcune ricerche, questa politica ha portato ad una riduzione del consumo di droghe, ma, scrive Zagni: “Il successo [della decriminalizzazione] sembra evidente non tanto per quanto riguarda il numero di quanti fanno uso di droghe, ma soprattutto a proposito del numero di malattie sessualmente trasmissibili, delle morti legate alla droga e di quanti hanno accesso e ricorrono a trattamenti per la cura dalle dipendenze”. In altre parole, la scelta del Portogallo sembra aver inciso su una delle voci di spesa che, come abbiamo visto nel caso dell’Italia, sono tra le più consistenti: i costi sanitari.


In Italia
Portogallo e Colorado sono due esempi che aiutano a capire come e quanto si può risparmiare dai cambiamenti di strategia nei confronti della droga: benefici diretti e indiretti dovuti alla liberalizzazione o legalizzazione delle droghe leggere e risparmi nella spesa della giustizia e in quella sanitaria grazie alla decriminalizzazione di tutte le droghe. Ma quali sarebbero i risparmi che potrebbe ottenere il nostro paese applicando ricette simili?

Stime precise sono praticamente impossibili da fare, sia a causa della natura sfuggente del mercato della droga, sia perché molto dipende da quali politiche l’Italia sceglierà di attuare e da come saranno implementate. Fortunatamente abbiamo alcuni dati abbastanza sicuri che ci aiutano a comprendere almeno gli ordini di grandezza di cui stiamo parlando. Secondo l’ISTAT ogni anno in Italia si vende droga per un valore pari a circa mezzo punto percentuale di PIL, cioè circa 10 miliardi di euro l’anno.

Come quantità la marijuana è la droga più consumata non solo in Italia, ma in tutto il continente: circa cinque volte più che tutte le altre droghe messe insieme. Ma la marijuana è anche la droga più economica: secondo l’ISTAT, ogni anno in Italia si spendono circa 2,5 miliardi di euro in derivati della cannabis. Altre stime fatte negli ultimi anni fanno lievitare il mercato della droga fino a 24 o addirittura 60 miliardi, il che significherebbe che le vendite di marijuana potrebbero ammontare fino a 20 miliardi di euro.

Utilizzando le stime più conservatrici, e probabilmente più affidabili, si può ipotizzare che al momento di una ipotetica completa emersione del mercato della marijuana, tassandolo intorno al 75 percento come le sigarette, si potrebbe produrre un gettito di circa 1,5 miliardi di euro l’anno. Sono numeri, come dicevamo, da prendere con estrema prudenza: “I mercati illegali, come ad esempio quello delle droghe, sono per definizione difficili da stimare”, ricorda il professor Marco Sabatino Rossi, professore di economia politica all’Università la Sapienza e autore di diversi studi sul possibile impatto della fine del proibizionismo.

Altra incertezza deriva dal fatto che a questa cifra andrebbero aggiunti anche tutti i benefici indiretti: aumento dell’occupazione, nascita di imprese nell’indotto e miglioramento della bilancia commerciale dovuto all’aumento della produzione locale e alla diminuzione delle importazioni. Come abbiamo visto, in uno stato come il Colorado, con una popolazione di 5 milioni di persone e un consumo di 130 tonnellate di marijuana l’anno, in un anno sono stati creati 16 mila posti di lavoro. L’Italia ha 60 milioni di abitanti e un consumo stimato dal professor Rossi in circa 1.200 tonnellate di marijuana l’anno: è difficile fare stime esatte di quanti posti di lavoro potrebbero essere creati, ma stiamo parlando probabilmente di svariate decine di migliaia.

Se infine nei nostri conti proviamo a inserire anche una decriminalizzazione di tipo portoghese, ottenere calcoli anche solo indicativi diventa quasi impossibile. Ma, dice il professor Rossi “stiamo parlando di stime che sono probabilmente più nell’ordine dei miliardi di euro che delle centinaia di milioni”. Questo non significa che legalizzazioni e decriminalizzazioni siano scelte semplici: ci sono conseguenze incerte di cui tenere conto.

Ad esempio, gli esperti discutono ancora molto sugli effetti che queste politiche hanno sul consumo di droga: secondo alcuni portano a un inevitabile aumento dei consumi, mentre altri sostengono che una diminuzione è l'effetto più probabile. Di questi tempi, però, mentre il governo ha difficoltà a reperire il denaro per coprire le spese senza aumentare IVA e le accise sulla benzina, sembra che sia davvero arrivato il momento di fare un bilancio dei decenni di proibizionismo e chiedersi seriamente se, anche dal punto di vista economico, abbia senso proseguire su questa strada.