Merkel

Il maggior partito populista di Germania - la AfD - raccoglie il consenso percentuale che in Italia è appannaggio della Lega di Salvini, che in fondo ha una piattaforma programmatica non dissimile dai colleghi di destra tedeschi. Peccato che, poi, in Italia ci sia anche il M5S, con percentuali più vicine a quelle della ammaccata Merkel che dei "cugini" AfD.

Dopo anni di grande coalizione con i socialdemocratici, e soprattutto dopo tre mandati consecutivi di governo, la flessione dell'Unione CDU/CSU è stata forse inevitabile, come quella del partner di governo. Il governo di Angela Merkel ha guidato una Germania in crescita, campione di esportazioni, di investimenti e di innovazione, ma anche un paese che si è sobbarcato una quota significativa dei profughi giunti in Europa negli ultimi anni e che ha mostrato di saper chiudere un occhio (e a volte anche due) rispetto alle sbracature di politica fiscale dei paesi dell'Europa meridionale.

Sia la CDU/CSU che la SPD perdono consensi, ma raccontare di una Germania assediata dal populismo crescente sarebbe una forzatura eccessiva. Anzi, sarebbe un errore. C'è senza dubbio l'exploit di AfD, partito nato liberista e tramutatosi in nazionalista e razzista, ma i flussi elettorali dimostrano che l'emorragia di voti dal partito della Merkel ha avuto come principale beneficiario la formazione liberale della FDP, che torna dopo anni sopra il 10%. Ben 1,3 milioni gli elettori che hanno fatto il salto da Merkel a Lindner, contro quasi un milione in direzione AfD (limitati gli altri flussi in uscita e in entrata).

Entrambi i partiti avevano fallito l'ingresso in Parlamento nel 2013, mentre le altre due forze che conseguono seggi - Die Linke e i Verdi - guadagnano appena mezzo punto percentuale a testa rispetto alle passate elezioni. Nel caso di AfD, i flussi elettorali raccontano di un partito che ha saputo catturare elettori di tutte le altre forze in campo, in particolare il già citato milione di voti della CDU, quasi mezzo milione dalla SPD e 400mila voti da Die Linke (questi ultimi hanno compensato con un flusso di pari valore in ingresso dalla SPD).

Insomma, è accaduto forse l'inevitabile: i due principali partiti hanno pagato gli anni di matrimonio forzato, ma le forze tradizionali del multipartitismo tedesco (la CDU e la sua sorella minore bavarese CSU, la SPD, Die Linke, i Verdi) hanno raccolto ben oltre l'80 per cento dei voti validi, oltre alle percentuali minori raccolte dai partiti sotto la soglia del 5 per cento. In Italia, per fare un confronto, il variegato fronte antisistema e populista viaggia intorno al 50 per cento, tra M5S, Lega e Fratelli d'Italia. La decisione di Martin Schulz di abbandonare la Grosse Koalition e di tentare la via dell'opposizione rigenerativa per i socialdemocratici finisce paradossalmente per consolidare la democrazia tedesca e ridarle vitalità.

Ha ragione il direttore de Linkiesta Francesco Cancellato quando prefigura per il futuro un atteggiamento più severo del governo "giamaicano" della Merkel nei confronti dei paesi cicala della UE. Altro che fine dell'austerità, per carità di patria (nostra) dovremo sperare che Frau Merkel sappia e voglia contenere i sicuri istinti rigoristi dei liberali, i quali peraltro saranno ringalluzziti dall'ormai prossimo ultimo giro di calendario di Mario Draghi alla guida della BCE (e con lui, della politica monetaria generosa che abbiamo sperimentato in questi anni).

Anche sul fronte immigrazione, un naturale "rinculo" post-elettorale potrebbe imporre alla Merkel una riflessione sulla politica dell'accoglienza. Ma come, fuor di slogan? Sia sul piano economico che su quello delle migrazioni, la grande Germania dovrà sempre più scegliere il tavolo europeo come luogo per affrontare e risolvere le grandi questioni aperte. Sarà il terreno ideale per Angela. Insomma, altro che fine della cancelliera Merkel: preparatevi all'ennesimo mandato soporifero e molto stabile della "culona insostituibile", affaticata ma sempre necessaria.