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La povertà non va in vacanza. E non può neanche essere messa, come la polvere, sotto il tappeto per non disturbare gli ospiti. Condivido le parole del Presidente della CEI, il cardinal Bassetti, e ho trovato stucchevole la polemica tra i ministri Minniti e Delrio che dimostra in tutta evidenza la difficoltà di affrontare l'emergenza dentro una chiara strategia.

Condivido le parole del cardinal Bassetti perché non esiste carità senza giustizia e "giustizia" non è ammiccare con i moderni schiavisti per portare gente in Italia senza sapere bene quale sia il loro destino e, magari, lucrare sulla gestione dei cosiddetti centri di accoglienza. Questo non riguarda ONG come Medici Senza Frontiere, ma il pentolone dell'accoglienza nasconde tanta miseria morale e, su questo, lo Stato non può chiudere gli occhi.

Ma non mi consola affatto che gli sbarchi siano diminuiti; che quel che resta della Libia intensifichi i controlli; che le navi della ONG in mare siano sostituite da Frontex, Triton o qualche altra iniziativa europea. Solo se si ha un chiaro progetto in testa sul futuro, che punti a salvare milioni di persone dalla fame, dalla guerra, dalle epidemie e, nel contempo, rassicurare un'opinione pubblica europea sempre più spaventata da questa ondata migratoria si possono sacrificare, anche, al di là di ogni pruderie politicamente corretta, le speranze di chi è salito su quei maledetti barconi.

Nell'immediato dopoguerra l'Italia, soprattutto meridionale, era un Paese in assoluta povertà. Metà della popolazione era analfabeta. Il 60% era "povero". Mancavamo di carbone per le nostre industrie del nord e di soldi per finanziare lo sviluppo. Allora non c'era la pressione mediatica di oggi, ma i giornali erano diffusi come oggi e la radio arrivava ovunque. Al popolo erano ben chiare le nostre difficoltà. Il Paese stava rivivendo una nuova migrazione, questa volta dal sud al nord dell'Italia, ma non mancava quella verso l'estero.

In quella situazione quel sant'uomo di De Gasperi - che, per usare le parole del cardinal Bassetti, tutto era salvo che ingenuo (chiedere, per conferma, agli eredi del PCI, ma anche del fascismo e della destra cattolica) - non esitò - letteralmente - a barattare col Belgio circa 100.000 "braccia" di lavoratori, soprattutto del sud, con il quantitativo di carbone necessario a far girare le nostre fabbriche e avviare così lo sviluppo industriale dell'Italia contadina, distrutta dal fascismo e dalla guerra. In quella scelta, che possiamo immaginare quanto sia costata a De Gasperi, stava tutta la miseria della nostra condizione di allora. Ma quella scelta, culminata nella tragedia di Marcinelle, fu accompagnata dal Piano Marshall, dalla costituzione della CECA, dall'avvio dell'ufficio europeo dei pagamenti, dalla costruzione dell'Europa unita, scelte che De Gasperi sapeva avrebbero portato l'Italia, il Belgio, l'Europa fuori dalla miseria post bellica.

E così fu! Quei 100.000, i cui figli oggi incontri a Bruxelles in posti di responsabilità (uno è un autorevole parlamentare europeo, un altro è stato Capo del Governo belga, ecc.), sono lì a dirci che i sacrifici di oggi, se inseriti in un progetto di riscatto dalla povertà a favore di chi oggi può solo offrire "braccia" e "prole", hanno senso, anche morale, pur apparendo nell'immediato inammissibili. Il problema è che non vediamo il progetto.

Continuiamo a vedere il saccheggio delle ricchezze del sottosuolo e dell'ambiente africano. Continuiamo a vedere corruzioni dilaganti e arricchimenti che coinvolgono imprese, Stati, centri di potere senza che vi sia una chiara visione su come far uscire l'Africa, che pure sta crescendo del 5% l'anno, dalla povertà e su quali interventi nel breve e nel lungo periodo porre in essere. È così impossibile trovare, in Occidente, 100 miliardi (per salvare non le banche, ma i nostri risparmi, se ne sono trovati molti di piu!) per intervenire subito e organizzare delle vere missioni di pace (Sì, anche armate, come noi Italiani abbiamo dimostrato di saper fare molto bene in Kosovo, Libano, Somalia, ecc.) a tutela della gente che scappa, organizzando campi profughi che non siano nuovi campi di concentramento?

È così difficile interrompere il traffico di armi? Usa, UE, Russia, Cina, India, sotto l'egida dell'ONU, non possono trovare una strategia comune che garantisca una situazione vantaggiosa per tutti? È così assurdo immaginare l'Italia come protagonista di nuovi incontri per la pace nel Mediterraneo come quelli che La Pira promosse a fine degli anni '50? Utopia? Forse. Ma nel 1950 pensare che Francia, Germania e Italia, che non avevano mai vissuto più di 30 anni di pace dalla caduta dell'Impero romano in poi senza farsi guerre, potessero pensare di costruire l'Europa unita e garantire pace e libertà ai loro 500 milioni di abitanti, accogliendo anche gli ultimi sudditi del totalitarismo comunista e fascista, era altrettanto utopistico.

Eppure, nonostante tutto, nonostante siamo qui a lamentarci, godiamo delle scelte di quei governanti e dei sacrifici degli eroi sconosciuti che nelle miniere di Marcinelle, venduti in cambio del carbone per tutti, hanno costruito la Patria del diritto e della libertà e il più grande e veloce progresso economico e sociale che la storia dell'umanità abbia mai conosciuto.