acqua rubinetto

Se si riducesse l’enorme quantità di acqua che viene sprecata lungo il percorso dal bacino d’acqua di captazione fino ai rubinetti della città di Roma, si potrebbe persino evitare di utilizzare il lago di Bracciano come fonte di acqua potabile, favorendo dunque la sua tutela. Anzi, se maggiore attenzione fosse riservata all’intera rete idrica, sarebbero molti i fiumi e i laghi che potremmo preservare, visto che gli sprechi ammontano a un valore compreso tra il 30 e il 40 per cento del totale captato.

E quanta acqua potremmo risparmiare se aumentasse la quota di impianti di depurazione capace di assicurare il trattamento delle acque reflue, oggi ferma appena al 45 per cento? D’altronde, proprio lo scarso impegno dell’Italia sul fronte della depurazione potrebbe causarci salatissime multe europee, stimate intorno ai 476 milioni di euro ogni anno se nel frattempo non completiamo le opere richieste. Gli acquedotti e le reti fognarie italiane sono vecchi e malandati, circa un quarto ha più di 50 anni, e gli investimenti necessari sono stimati in non meno di 5 miliardi all’anno.

Ma chi ce li mette i soldi? Lo Stato? I privati? Il primo avrebbe dunque bisogno di reperire le risorse dalla tassazione o da una consistente riduzione di spesa pubblica. I secondi dalla remunerazione del servizio, ergo dalle tariffe. Una delle cose più impopolari da dire – sia per i sostenitori dell’acqua pubblica che per i fautori della liberalizzazione e del maggior coinvolgimento dei privati – è che in Italia, nonostante sprechi e sperperi, l’acqua costa molto meno che nel resto d’Europa. Per un bene così prezioso, per la cui scarsità ci preoccupiamo e ci affanniamo, paghiamo molto meno dei nostri vicini francesi, tedeschi, svizzeri, britannici, norvegesi o danesi.

Siamo in un circolo vizioso: sprechiamo colpevolmente acqua, ma per sprecarne meno avremmo bisogno di più investimenti e gli investimenti richiedono risorse, cioè che qualcuno paghi di più. Che siano i contribuenti o i consumatori, ma qualcuno - ahinoi - dovrà pagare. Poi, chi ha fiducia nella buona concorrenza e in un mercato ben funzionante (ergo in una regolazione trasparente e non inquinata da una politica pasticciona) sa che nel tempo gli investimenti produrrebbero innovazione, efficienza e prezzi più bassi.

Invece la politica, e forse un pezzo dell’opinione pubblica insieme ad essa, ha preferito finora mettere la testa sotto la sabbia, facendo spallucce di fronte agli sprechi e acconsentendo ad aumenti tariffari che troppo spesso remunerano il clientelismo, non gli investimenti, tanto più dopo quel folle referendum del 2011 che ha sancito – in una memorabile allucinazione collettiva – che l’acqua è un bene da tenere distinto e distante da quello sterco del demonio chiamato denaro.

@piercamillo