AmbasciatoreUSA

L’ambasciatore degli Stati Uniti in Italia lavora per tutelare gli interessi americani sul nostro territorio e le opportunità di scambio, investimento e relazione tra i due paesi. Quel che l’ambasciatore John Phillips ha detto ieri riguardo agli esiti possibili del referendum costituzionale italiano è un mero giudizio tecnico, di cui dovrebbero essere consapevoli anzitutto i “No-isti”: agli occhi dei nostri principali partner politici, le grandi democrazie avanzate, l’eventuale bocciatura referendaria della riforma creerebbe un'impasse politico-istituzionale di breve periodo e mostrerebbe una eccessiva “resilienza” italiana ai tentativi di riforma e modernizzazione delle istituzioni. 

Tutto questo, riportato sul piano economico, significherebbe diffondere una massiccia dose di incertezza per gli investitori internazionali presenti in Italia o intenzionati a esserlo. Peraltro, quel che accade alla terza economia dell’area euro, un paese caratterizzato da un debito pubblico elevato, interessa tanto agli americani quanto ai cinesi e ai paesi che con noi condividono la moneta unica europea. Il mondo teme l'incertezza, non è un fatto personale contro Bersani, Grillo, Salvini, Brunetta o affini.

Possiamo pensare che le dichiarazioni di Phillips fossero opportune o inopportune, eterodirette da Washington oppure no, volute o travisate. Non è questo il punto. La questione è: Phillips ha esplicitato quello che la stragrande maggioranza degli osservatori internazionali pensa, che ci piaccia o meno, rispetto all’esito del nostro referendum costituzionale. E se costoro sono pressoché concordi nell’esprimere preoccupazioni, si può optare tra due posizioni: uno, gridare al complotto internazionale, nella migliore delle tradizioni populistiche alla Chavez (quello del Venezuela); due, porsi il problema di come mostrare invece solidità e credibilità.

Posto che siamo tutti consapevoli di quali effetti abbia provocato la Brexit e posto che l’Italia non ha la solidità politica ed economica del Regno Unito, spetta ai sostenitori del No – almeno a quelli dotati di un minimo di cultura di governo e responsabilità politica – offrire un piano credibile e attuabile, che non consegni l’Italia allo stallo e alla paralisi di governo. Tanto i bersanian-dalemiani del PD che il centrodestra berlusconian-parisiano dovrebbero avere il coraggio e la responsabilità di presentare ai cittadini italiani e al mondo un “piano B”. Il “piano A” è sul tavolo: è la riforma costituzionale, condivisibile o non condivisibile. Manca qualsiasi riferimento che aiuti a delineare lo scenario italiano in caso di mancata approvazione della riforma.

Sono capaci i No-isti a presentare un piano B? Se saranno capaci di farlo, e di farlo insieme (perché i piani B per essere credibili debbono avere i numeri in parlamento, in questo parlamento), allora avranno tutto il diritto di replicare a muso duro all’ambasciatore americano o a chiunque in futuro avanzerà le proprie preoccupazioni sullo scenario di vittoria del No. Siccome temiamo che tale “piano B” non esista, in termini di contenuto e di numeri parlamentari, farebbero bene i No-isti a non urlare e sbraitare contro il perfido yankee. Il problema ce l’hanno e ce l’abbiamo in casa.