di maio

Il vicepresidente della Camera dei Deputati Luigi Di Maio, fulgida stella della galassia grillina, ha un "piano" per salvare i lavoratori delle piattaforme di gas naturale e petrolio il cui impiego nei prossimi anni è messo a rischio dalla eventuale vittoria del sì al referendum del 17 aprile. Dichiara Di Maio intervistato da La Stampa: "i lavoratori del petrolio hanno tutto il mio rispetto. Ma con due miliardi di investimenti l'anno potremmo ottenere 500 mila nuovi posti di lavoro nelle energie alternative, riassorbendo tutti i lavoratori in esubero".

Insomma, il piano di Di Maio è sostanzialmente quello di di aggiungere altri due miliardi di euro alla già sovrabbondante spesa pubblica per occupare i lavoratori del settore oil&gas nelle energie alternative. Perché non ci avevamo pensato prima? Soprattutto, perché non abbiamo mai pensato che con 10 miliardi annui di soldi pubblici, o magari 20, o 30, o addirittura 100, potremmo salvare non solo i dipendenti delle piattaforme, ma tantissimi altri disoccupati italiani? Il piano Di Maio è davvero la panacea di tutti i mali italici: più spesa pubblica per creare più lavoro! 

Iperboli a parte, restiamo sul punto: Di Maio sta di fatto sostenendo, più o meno consapevolmente, che l'Italia dovrebbe rinunciare a 750 milioni di euro di produzione annua (tanto vale all'incirca il valore del gas prodotto dalle piattaforme operanti entro le 12 miglia), a centinaia di milioni di euro di entrate fiscali (il settore complessivamente paga almeno 1 miliardo all'anno), a miliardi di investimenti privati italiani ed esteri e allo sviluppo di tecnologie e know how che fanno da volano per la importante presenza italiana nel settore oil&gas mondiale (la piccola produzione nostrana è la "palestra"). Tutto questo, secondo l'esponente di spicco del movimento grillino, andrebbe "sostituto" con un aumento di spesa pubblica, di debito pubblico e dunque di tasse da parte degli italiani presenti e futuri. Per farla ancora più semplice, in termini di ragioneria spicciola è come se Di Maio proponesse di compensare le minori entrate con maggiori uscite. Provate a dirlo a un artigiano di far così, e vedete se riuscite ad abbandonare indenni la sua bottega. C'è da aggiungere altro?

Un punto, forse. Sempre nell'intervista a La Stampa, la giovane speranza pentastellata denuncia la perdita di posti di lavoro sofferta negli ultimi anni dal settore delle rinnovabili. Di Maio non dice, non sa o fa finta di non sapere che questo calo occupazionale è conseguente ad una triste e amara verità: il settore delle energie alternative ha prosperato in Italia, nelle forme e nei numeri che conosciamo, finché è stato pesantemente sussidiato con gli aggravi sulla bolletta energetica dei consumatori italiani. Vogliamo attivare un circuito virtuoso per il futuro? Bene: occorre puntare con pragmatismo su tecnologie pulite sempre più sostenibili economicamente, più efficienti e più stabili. La sfida della riconversione energetica la può giocare e vincere solo un Paese ricco e prospero. Un Paese che invece si impoverisce, che addirittura decide per referendum di chiudere un pezzo della propria economia, non avrà questa capacità.