Sono anni che, in Italia, si dibatte dell’opportunità di creare una “bad bank” per gestire le sofferenze del sistema bancario. Nel frattempo, altri Paesi lo hanno fatto, traendone beneficio, ma, ora che il quadro economico è cambiato, questa scelta è ancora conveniente per l’Italia? E, soprattutto, è materialmente possibile?

Conti Bankitalia sito

La gestazione di una bad bank italiana di sistema per gestire le sofferenze bancarie, balzate in aprile a quota 191,6 miliardi, ha tempi elefantiaci.

Nell’agenda del governo il progetto è tornato a gennaio, quando il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha confermato, in un’intervista a Repubblica, che Palazzo Chigi stava “esaminando varie opzioni, anche tenendo conto delle implicazioni sulle regole europee sugli aiuti di Stato” e riflettendo in che modo “introdurre degli strumenti che vanno sotto il nome generico di bad bank”.

In realtà, di bad bank si parla già da due anni, e a rilanciarla, nell’ottobre del 2013, era stato anche l’ex premier Romano Prodi con un intervento sul "Messaggero": “La circolazione sanguigna del nostro corpo economico – aveva scritto - è costituita essenzialmente dal sistema bancario su cui si fonda l'85 per cento di tutte le attività finanziarie (...). Per essere in grado di fare il loro mestiere le banche devono essere alleggerite di parte dei cattivi debiti che lo rendono impossibile”.

In sostanza l’idea di Prodi era creare una sorta di Cassa Depositi e Prestiti finalizzata al credito alle imprese, una soluzione per rimodellare il sistema bancario italiano e fare proprio il soggetto referente per le aziende. Una soluzione che però è rimasta lettera morta. Sia per le resistenze del Tesoro, allora guidato da Fabrizio Saccomanni, sia per quelle delle singole banche: nessuno voleva fare il primo passo, comunicando al mercato di avere un problema.

Poi, con il passare dei mesi, la situazione si è aggravata, e a fare pressione per una soluzione di sistema è arrivata anche la Bce. Non è un caso se all’ultimo Congresso nazionale degli operatori finanziari organizzato a Milano all’inizio di febbraio da Assiom Forex la platea di banchieri ha applaudito quando dal palco il governatore di Bankitalia Ignazio Visco ha reclamato "il pieno coinvolgimento delle banche nei costi dell'operazione e un'adeguata remunerazione del sostegno pubblico".

E allora via tutti a rispolverare i modelli di “banca spazzina” : in passato Svezia e Germania sono ricorse a questo strumento. Nel giugno 2012 vi ha fatto ricorso la Spagna battezzando la sua bad bank, Sareb, e chiedendo ufficialmente la protezione dell'Unione europea. Secondo Morgan Stanley, Spagna e Irlanda hanno migliorato la redditività e dato visibilità al valore delle loro banche proprio grazie alle rispettive bad bank, Sareb e Nama, a cui sono stati trasferiti gli asset tossici in pancia agli istituti con uno sconto del 40-60%.

Il contesto economico e finanziario, però, oggi è diverso, e per la bad bank italiana va studiata una soluzione nuova. Quale? La prima ipotesi è quella di creare una società-veicolo che emetta titoli di debito sul mercato, coperti da una garanzia pubblica a favore di chi investe in essi. Con i fondi raccolti, la società-veicolo acquisterebbe i crediti deteriorati delle banche a prezzi scontati e li gestirebbe sperando alla fine di ottenere un profitto; in caso di perdite, scatterebbe la garanzia pubblica per indennizzare chi ha investito, mentre, in caso di profitto, lo Stato verrebbe pagato per avere offerto il servizio di quella stessa garanzia.

La seconda ipotesi, suggerita dal centro studi Astrid, è invece quella di inserire le sofferenze bancarie in pacchetti di titoli che poi potrebbe acquistare la Bce nei suoi nuovi interventi, sempre con una garanzia dello Stato italiano in caso di perdite.

La terza via è quella di un sistema di sgravi fiscali per facilitare l’uscita delle sofferenze dalle banche. Ma in tutti i casi rimane il tema dell’impatto delle eventuali uscite pubbliche sui conti pubblici, per cui il punto dirimente è capire se le perdite andrebbero a pesare sul rapporto deficit/Pil, che per l’Italia è al limite.

Per questo sembra inevitabile che il finanziamento della bad bank passi da un lato per la Cassa depositi e prestiti, dall'altro per il coinvolgimento delle banche stesse, magari attraverso l'utilizzo delle risorse rese disponibili dalla rivalutazione delle quote detenute nella Banca d'Italia. A questo capitale di base si affiancherebbe poi un funding (raccolta di risorse sul mercato) che amplierebbe in modo significativo la capacità di fuoco della bad bank.

Di questi temi si parla da mesi, con il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan che ha anche annunciato il varo del progetto entro l’estate. Nel frattempo, la Banca d’Italia ha staccato un assegno da 379.500 euro, Iva inclusa, ai consulenti di Boston Consulting che sono stati incaricati di aiutare via Nazionale - e il ministero del Tesoro – a costituire “un’asset management company per la gestione delle sofferenze bancarie”: la bad bank, insomma.

La missione è delicata, visto il tira e molla del governo Renzi con la Commissione europea, che considera aiuti di Stato gli interventi pubblici per aiutare gli istituti a liberarsi della zavorra dei 185 miliardi di crediti difficili da recuperare (anche se fosse solo sotto forma di garanzia, come ipotizzato da Palazzo Chigi). “Data la complessità del progetto”, spiega dunque Bankitalia in una nota, “si è deciso di ricorrere alla consulenza di una società specializzata”. Ed è stata selezionata la Boston Consulting Group “perché in possesso di un'elevata specializzazione in materia. L’incarico – viene aggiunto - è stato affidato con procedura negoziata per l'urgenza che caratterizza la definizione del progetto”.

La decisione di aggiudicare l’appalto – senza gara – porta la data del 26 marzo scorso. Ma, in realtà, già prima erano circolate sulla stampa indiscrezioni sul coinvolgimento della società americana nel progetto. “Le banche beneficiarie dovranno assumere impegni ragionevoli e oggettivamente verificabili in materia di volumi e condizioni di erogazione del credito a determinati settori dell'economia, in misura proporzionata ai benefici derivanti dalla cessione degli attivi”, scriveva infatti il Messaggero lo scorso 15 marzo citando l’ultima versione di una bozza ritoccata proprio da Boston Consulting. Cui l’esperienza in materia, va detto, non manca: ha collaborato alla realizzazione di bad bank in altri Paesi e nel febbraio del 2014 ha pubblicato uno studio sulla gestione delle sofferenze secondo il quale la bad bank in Italia deve essere concepita in un'ottica più ampia di rilancio dell'economia e non come semplice strumento di salvataggio delle banche italiane. Di qui la necessità di un approccio focalizzato per filiera industriale o distretto produttivo attraverso veicoli che siano anche in grado di supportare la ripresa dei territori o di singoli settori.

Eppure, secondo Alessandro Penati, che ne ha scritto a maggio su Repubblica, il progetto arriverebbe con almeno tre anni di ritardo: “Molti paesi hanno completato la ristrutturazione delle loro banche; il sistema finanziario internazionale è solido; e gli Stati stanno ritirando gli aiuti concessi”. Abbiamo quindi perso tempo, secondo Penati, “compiacendoci della solidità delle nostre banche, che, nel loro complesso, hanno cominciato ad aumentare gli accantonamenti a copertura dei crediti deteriorati solo a partire dal giugno 2013”.

Sul blog linkerblog.biz, dal canto suo, il consulente per le imprese (con un passato da banchiere) Fabio Bolognini fa un passo successivo. E spiega perché, nonostante ripetute dichiarazioni governative, non c’è vera fretta nel mettere a punto il meccanismo di governo societario della Bad Bank e soprattutto il tenore della garanzia che lo Stato si appresta a concedere (a pagamento) alle banche che vogliono smaltire le loro sofferenze. “La domanda di NPL [Non Performing Loans, prestiti non performanti, ossia attività che non riescono più a ripagare il capitale e gli interessi dovuti ai creditori, NdR] sta salendo e sono moltissimi gli operatori esteri a cui fa gola prendere pezzi di quei 190 miliardi, i prezzi salgono, la mini-ripresa fa intravedere una ripresa dei valori immobiliari a medio termine (orizzonte tipico degli investitori in NPL) e la fine della crisi-recessione fa sperare che anche le sofferenze su imprese non coperte da garanzie immobiliari possano consentire migliori realizzi. I prezzi stanno risalendo, non so dire di quanto ma l’ipotesi grossolana è che i portafogli di NPL tendano verso il valore 20%, magari i più selezionati”, scrive Bolognini.

Intanto il governo ha annunciato la riduzione dei tempi per le procedure di recupero dei crediti bancari e dell'ammissione della deducibilità fiscale delle perdite relative a crediti deteriorati in un anno anziché in cinque. Due misure che, sancendo nella materia una par condicio con le banche di altre giurisdizioni, dovrebbero integrare l’istituzione di una bad bank o di un veicolo altrimenti configurato, per cui continua, ormai da mesi, il confronto del governo con la Commissione Ue, la quale persiste nell'opporre il divieto di aiuti di Stato nell'ipotesi in cui venga prevista una garanzia pubblica, pure se questa fosse puntualmente remunerata. Lo scorso 22 giugno il vice ministro dell'Economia Enrico Morando ha però smorzato le attese delle banche: "Questo – ha detto - è un problema che solleva questioni di bilancio e quindi non è adesso che possiamo realizzarlo”. Un passo avanti e due indietro.

Il 4 maggio, di fronte alla platea di Borsa italiana a Palazzo Mezzanotte, Matteo Renzi prometteva: “Nelle prossime settimane il passaggio sulle sofferenze bancarie e sugli strumenti per rendere il sistema bancario italiano nella stessa situazione degli altri Paesi europei troverà concretizzazione”. A Piazza Affari stanno ancora aspettando.