Israele Palestina grande

Il centrosinistra unito sta organizzando una manifestazione per alzare il tono delle proteste contro la guerra che si sta combattendo a Gaza. Il Governo israeliano e la destra religiosa che lo sostiene sono andati ben oltre la reazione al terribile atto terroristico del 7 ottobre. La guerra ad Hamas si sta trasformando in una carneficina di civili inermi che rischia di generare odio e spirito di vendetta per i prossimi trent’anni.

Netanyahu ha fallito, ha isolato Israele a livello internazionale, sta distruggendo lo stato di diritto, non ha riportato a casa i rapiti. Bibi e Hamas si tengono in piedi vicendevolmente lungo la linea della violenza mentre le vittime - gli ebrei ostaggi e i palestinesi scudi umani - non hanno la speranza di una concreta via d'uscita dallo status quo.

Tornando alla manifestazione del centrosinistra italiano, è giusto riunire una comunità vasta e plurale sotto l'egida della nonviolenza e dei valori della nostra Costituzione , è giusto pretendere la fine della mattanza a Gaza, la ripresa massiccia degli aiuti umanitari, il sostegno ai civili come la liberazione senza condizioni degli ostaggi di Hamas. Vanno messe al centro le vittime, va coinvolta la comunità internazionale in un percorso di pace e politico che getti le basi per un futuro migliore.

A questo proposito, come è noto, la prospettiva più condivisa sembra essere quella riassunta nello slogan "due popoli, due stati". Questa via, però, rischia di rimanere una bella formula senza sbocco, e le ragioni sono tante.

Non è opportuno in questo contesto riaprire il dibattito su prospettive alternative, come quella dell'unico stato federale e binazionale, fondato sui diritti universali e non sull'identità escludente. Questa prospettiva - la più fruttuosa a mio parere - ha il torto di essere palesemente utopistica in un contesto globale di risorgiva nazionalista, di protezionismo, di "filo spinato e muri" che sta mettendo in dubbio l'idea stessa dell'universalismo dei diritti, della libertà e della giustizia come valori ed esistenziali globali.

Bisogna quindi essere più concreti e approfondire l'analisi in maniera pragmatica, con le carte a disposizione. Ecco, dunque, che la soluzione "due popoli, due stati" emerge come base imprescindibile di qualsiasi seria interlocuzione nella temperie in atto. Ma di che stati stiamo parlando? Che stato sta diventando Israele nelle mani della destra religiosa?

Cosa stava tentando di fare Netanyahu, prima del 7 ottobre, con la riforma della Giustizia? Con i limiti imposti all'autonomia dei giudici? Come può reggere lo Stato di diritto israeliano sotto la pressione politica di chi spinge per affermare in maniera settaria la propria appartenenza religiosa? Come possono sopravvivere le fonti democratiche, progressiste e socialiste del sionismo? E che stato potrebbe essere quello di Hamas? Che diritti avrebbero le donne? Si applicherebbe la Sharia? Avremmo un "mini Iran"? Sarebbe ammesso il pluralismo culturale e partitico?

La questione dirimente, quindi, non è propriamente il sorgere di una nuova statualità ma la sua qualificazione liberale o illiberale. Nel Medio-Oriente Israele rischia di divenire una "democratura" nelle mani della destra estremista e Hamas tenta di assurgere a ruoli governativi autoritari su tutta la Palestina. Abbiamo bisogno di questo? Di certo no.

Ecco perché aveva ragione Marco Pannella che, già a partire dagli anni Ottanta, attraverso la prospettiva dell'entrata di Israele nel contesto della Comunità Europea, cercava di orientare sempre di più il retaggio "occidentale" dell'ebraismo politico verso la condivisione corale di un'appartenenza più ampia.

Ecco perché la formula due popoli due stati, per essere davvero significativa, deve essere declinata come "due popoli, due democrazie". Solo la Democrazia liberale, infatti, può garantire una società civile libera dal servaggio autoritario e istituzioni politiche forti, governate dal principio pluralistico delle rappresentanze e dalla separazione dei poteri.

La UE, oggi, in tale contesto, ha un ruolo fondamentale da esercitare. L'America di Trump è vincolata ai suoi limiti evidenti e non può andare oltre l'assonanza politica con Netanyahu. Solo l'Europa – un'Europa conscia della propria Storia e del ruolo di Israele quale avamposto culturale in Medio Oriente – può tentare, una volta cessato l'orrendo boato delle armi, un processo multilaterale teso ad affermare l'ethos sull'ethnos, il valore dell'eguaglianza nella libertà contro il nazionalismo etnico/religioso.
Questo, infatti, è stata l'Europa negli ultimi ottanta anni e per ciò questa 'costruzione giuridica' foriera di pace e benessere è oggi sempre più invisa ai governanti illiberali al potere: Trump ovviamente, è uno di questi.

Siamo pronti a manifestare per la Palestina libera innanzitutto da Hamas? A chiedere con forza l’incriminazione e l'arresto di Netanyahu? A pretendere elezioni regolari, libertà religiosa, convivenza pacifica tra diversi in tutto il Medio Oriente?
A lavorare insieme per affermare le forme liberal-democratiche a tutela dei palestinesi e degli ebrei? Di questo tipo di manifestazioni abbiamo davvero bisogno e di un centrosinistra sempre più lontano da un semplicismo manicheo che aiuta solo i violenti.