Diari da Kyiv. La giornata dell'Europa di un diciassettenne italiano in Ucraina
Diritto e libertà

Luigi Del Carlo, classe 2007, diciotto anni ancora da compiere, ha partecipato all'iniziativa dell'associazione Europa Radicale "L'Europa Rinasce a Kyiv", manifestazione transnazionale organizzata nella capitale ucraina il 9 maggio, giornata dell'Europa. Nel baricentro della storia odierna, la capitale del Paese che da tre anni subisce dalla Russia una aggressione senza precedenti dalla Seconda guerra mondiale, Luigi ha voluto celebrare la pace e l'unità dell'Unione europea, nella città simbolo della resistenza all'invasione russa.
Luigi, perché hai deciso di partire?
Per vedere quel che sta realmente accadendo con i miei occhi, per capire il valore di quello che stanno facendo gli ucraini. Non mi sarei immaginato di percepire così tanto dolore, è stata un'esperienza che mi ha segnato e insegnato tante cose. Il minimo che noi europei possiamo fare è proprio questo, ossia cercare di capire, senza pregiudizi ideologici, il valore di lottare per la libertà, cosa significa resistere. Io sono partito per questo.
Cosa ti è rimasto più impresso del viaggio?
La prima cosa che ho visto appena arrivato a Kyiv è stata piuttosto significativa, una grande asta in ferro con bandiere ucraine ed europee, insieme a quella della Nato. E poi il memoriale di Piazza Indipendenza, la piazza della rivoluzione del Majdan, in cui sono fissate un numero immenso di bandierine, simbolo di ogni soldato caduto per la libertà. Questo muro di immagini delle vittime è particolarmente toccante, ti avvicini e riconosci facce davvero giovani, di 18-20 anni, donne e uomini. In Ucraina la leva obbligatoria era di 27 anni, poi abbassata a 25. Tanti erano quindi volontari che a 18 anni hanno deciso di difendere i propri cari e il proprio Paese. Altra cosa che mi ha colpito è stata vedere le persone che si inginocchiano al passaggio dei carri funebri: ho assistito personalmente ad ucraini che si sono inginocchiati davanti alla bara di un soldato colombiano, volontario di guerra. Alcuni di noi hanno portato beni di prima necessità per i soldati in riabilitazione, e nei ristoranti della città ci sono raccolte per offerte all'esercito e per la costruzione di droni. Nella capitale ho infine avuto l'opportunità di vedere la base della legione dei volontari georgiani, uno dei primi tre target russi della città, che raggruppa circa 2000 volontari, provenienti da più paesi. Lì abbiamo conosciuto il comandante, Mamuka Mamulashvili, catturato per due anni e torturato dai russi, che ha fondato la legione al fianco degli ucraini nel 2014. È ancora in ripresa, essendo stato trovato e avvelenato dai servizi del Cremlino a Berlino, dove era andato per curarsi.
Hai avuto modo di parlare con ucraini e volontari che si sono trasferiti nella capitale ucraina?
Ho conosciuto bene Yuri Previtali, volontario italiano, al quale ho chiesto cosa pensano i soldati ucraini. Non solo i volontari, ma anche coloro i quali sono stati "obbligati" a combattere apprezzano e appoggiano Zelenskyy, e credono stia facendo il bene del Paese. Yuri è un ragazzo di trent'anni la cui famiglia vive a Bergamo, che ha seguito l'evolversi della situazione da inizio invasione, pensando che avrebbe potuto fare qualcosa. Ha deciso di partire senza aver mai toccato un'arma in vita propria, ed è ora in Ucraina da due anni. Sempre Yuri mi ha detto che i russi hanno un numero di combattenti veramente alto: usano ragazzi come carne da macello, non raccogliendo nemmeno i corpi delle persone rimaste uccise. La guerra assomiglia alla Prima guerra mondiale, di trincea, dove raramente si vedono mezzi corazzati, da una parte o dall'altra, e si avanza metro per metro, a piedi, dormendo pochissimo. Ho poi parlato con una ragazza ucraina, che mi ha raccontato di aver deciso di abbandonare il proprio lavoro per lavorare in una fabbrica di droni, dando il proprio contributo, di fatto esponendosi a diventare obiettivo militare. Questa è una delle tante dimostrazioni della resistenza del popolo ucraino: loro vogliono che Putin se ne torni da dove è venuto. Un altro ragazzo mi ha spiegato che noi europei dobbiamo capire che non si possono fare patti con una persona del genere, che non ha mai rispettato un accordo in vita sua, e che se noi li abbandonassimo non si fermerebbe all'Ucraina. Ha continuato raccontando che i genitori della sua ragazza abitano a Kherson, dove i russi che la occupano impongono a chiunque voglia usufruire di un qualsiasi servizio pubblico - come, ad esempio, un ospedale - di munirsi di documenti russi. Si tratta chiaramente di un ricatto per far sembrare che quegli ucraini siano più vicini alla Russia di quanto non siano all'Ucraina.
Cosa siete riusciti a vedere oltre Kyiv, come si è strutturato il vostro percorso?
Sono stato tre giorni pieni in Ucraina, 8, 9 e 10 maggio. Siamo stati anche a Irpin, città di confine come Bucha, dove nel 2022 i russi sono entrati dalla Bielorussia. Gli ucraini hanno lasciato dei punti distrutti per far si che le truppe del Cremlino non entrassero a Kyiv e per mostrarli come testimonianza. Abbiamo parlato con il sindaco, che ci ha detto che fa fatica ad addormentarsi, dopo aver visto morire madri con figli. Sempre a Irpin c'è un memoriale dove, in un parcheggio, sono situate molte macchine di civili crivellate di colpi. Abbiamo poi visto le macerie di una casa colpita da un missile solo due giorni prima, di notte, dove a pochi metri c'era un asilo nido: famiglia sterminata, sono sopravvissute solo le due bambine e rimasti uccisi genitori e fratello più grande. Proprio nel momento in cui eravamo lì, è arrivato un signore - avevamo l'interprete da ucraino a italiano - che ci ha detto di guardare e prendere coscienza dei crimini del regime putiniano, e soprattutto di vedere dove siamo noi europei, cosa stiamo permettendo, insieme agli americani. Sua moglie non riesce più ad alzarsi per i traumi della guerra, e nei pressi della loro abitazione arrivano continuamente gli Shahed, droni iraniani utilizzati dalle forze russe, che distruggono le vetrate delle finestre in un quartiere completamente residenziale, lasciando i cittadini del posto al gelo. Ci ha anche raccontato di aver salvato un russo, col quale è rimasto in contatto, avendolo portato all'ospedale nonostante combatta contro il suo popolo.
Cosa ti porti a casa, nell'aver visto la guerra da così vicino, da un'esperienza così drammatica?
Io avevo la volontà di scoprire il valore della resistenza ucraina, degli sforzi della gente, di ciò che stanno sopportando da più di tre anni. Mi porto dietro il desiderio e l'aspettativa con cui sono partito, e cioè quello di trovare qualcosa che sapesse veramente di Europa: da diciassettenne, finora nella mia vita l'Europa era rimasta un concetto astratto. Lì l'ho invece trovata, sentendola come lotta concreta e quotidiana. Per gli ucraini è una sfida che vale tutto: posso dire di aver visto l'Europa per la prima volta.
