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Mercoledì mattina Salvini è stato intervistato dal bravissimo Giorgio Zanchini nella diretta di Radio Anch’io di Rai Radio 1. Si parlava, naturalmente, di Luca Morisi, cioè del fatto politico principale di questi giorni. Fatto politico, sì, perché se l’episodio concreto (un festino con uso di droghe) non ha alcuna rilevanza politica in sé, la circostanza che chi ne è stato protagonista sia anche l’artefice della campagna di comunicazione becera e finto moralista, che ha contribuito al successo personale di Salvini nei sondaggi e nelle urne, è un fatto di certo significato e effetto politico.

In questi giorni Luca Morisi è oggetto di una campagna piuttosto denigrante, che costituisce il frutto della consueta sovrapposizione fra mezzi di informazione e istruttoria processuale. Ma si tratta di una sovrapposizione che lo stesso lavoro di Morisi ha contribuito a creare, rompendo (assieme, naturalmente, a certa stampa e a forze politiche come il M5S), giorno dopo giorno, il labile confine che esiste fra interesse pubblico e riservatezza (istruttoria e personale). La prima cosa che è venuta in mente a tutti è “chi semina vento raccoglie tempesta”. Una considerazione scontata nell’opinione pubblica.

Una considerazione che per questo Zanchini non poteva non rivolgere a Salvini, soprattutto dopo aver discusso del fatto esattamente in questi termini nello scambio precedente con Luca Sofri. “Senatore, qualcuno dice: chi semina vento raccoglie tempesta”, ha osservato Zanchini. “Questi suoi commentini su una radio pubblica sono estremamente sgradevoli” è stata la risposta di Salvini. Una risposta che ha rivelato quanto il leader della Lega sia poco abituato a sentirsi rinfacciare le cose come stanno.

Una cosa a cui la “Bestia” non è preparata: dare conto della propria condotta. Ma la risposta di Salvini rivela anche la concezione che il leader della Lega ha della tivù pubblica, che evidentemente dovrebbe essere orbanianamente ossequiosa e reverente verso la politica.
Vale ovviamente il contrario, almeno nelle democrazie occidentali. E infatti, proprio la reazione di Salvini conferma che Giorgio Zanchini stesse rendendo un vero servizio pubblico. Senza gli ossequi e la reverenza a cui troppo spesso assistiamo da parte di un sistema succube della politica, come quello della tivù pubblica italiana.

Provocare un commento sulla tempesta ritortasi contro, dopo così tanto vento seminato, era insomma un atto di giornalismo dovuto, un coretto esercizio di scrutiny of power. Il giornalista e scrittore americano Hunter S. Thompson diceva: “Non posso pensare in termini giornalistici senza pensare in termini di fini politici. Se non c’è una reazione, non c'è giornalismo. È causa ed effetto”.

Il problema rimane però a monte e la provocazione - molto british - di Zanchini costituisce più un’eccezione che una regola. Impossibile, infatti, pensare ad uno scrutiny of power come norma di condotta in un sistema, come quello della Rai, che, per definizione, dal potere direttamente dipende. Più Zanchini, meno Orban.